La scienza in cucina e
L’ARTE DI
MANGIAR BENE
Manuale pratico per le famiglie
compilato da
PELLEGRINO ARTUSI
(790 ricette)
e in appendice
“La cucina per gli stomachi deboli”
LA STORIA DI UN LIBRO
CHE
RASSOMIGLIA ALLA STORIA DELLA CENERENTOLA
Vedi giudizio uman come spesso erra
Avevo data l’ultima mano al mio
libro La scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene, quando capitò in Firenze
il mio dotto amico Francesco Trevisan, professore di belle lettere al liceo
Scipione Maffei di Verona. Appassionato cultore degli studi foscoliani, fu egli
eletto a far parte del Comitato per erigere un monumento in Santa Croce al
Cantor dei Sepolcri. In quella occasione avendo avuto il piacere di ospitarlo
in casa mia, mi parve opportuno chiedergli il suo savio parere intorno a quel
mio culinario lavoro; ma ohimé! che, dopo averlo esaminato, alle mie povere
fatiche di tanti anni pronunziò la brutta sentenza: Questo è un libro
che avrà poco esito.
Sgomento, ma non del tutto
convinto della sua opinione, mi pungeva il desiderio di appellarmi al giudizio
del pubblico; quindi pensai di rivolgermi per la stampa a una ben nota casa
editrice di Firenze, nella speranza che, essendo coi proprietari in relazione
quasi d’amicizia per avere anni addietro spesovi una somma rilevante per
diverse mie pubblicazioni, avrei trovato in loro una qualche condiscendenza.
Anzi, per dar loro coraggio, proposi a questi Signori di far l’operazione in
conto sociale e perché fosse fatta a ragion veduta, dopo aver loro mostrato il
manoscritto, volli che avessero un saggio pratico della mia cucina invitandoli
un giorno a pranzo, il quale parve soddisfacente tanto ad essi quanto agli
altri commensali invitati a tener loro buona compagnia.
Lusinghe vane, perocché dopo
averci pensato sopra e tentennato parecchio, uno di essi ebbe a dirmi: - Se il
suo lavoro l’avesse fatto Doney, allora solo se ne potrebbe parlar sul serio. -
Se l’avesse compilato Doney - io gli risposi - probabilmente nessuno capirebbe
nulla come avviene del grosso volume Il re de’ cuochi; mentre con questo
Manuale pratico basta si sappia tenere un mestolo in mano, che qualche cosa si
annaspa.
Qui è bene a sapersi che gli
editori generalmente non si curano più che tanto se un libro è buono o cattivo,
utile o dannoso; per essi basta, onde poterlo smerciar facilmente, che porti in
fronte un nome celebre o conosciutissimo, perché questo serva a dargli la
spinta e sotto le ali del suo patrocinio possa far grandi voli.
Da capo dunque in cerca di un
più facile intraprenditore, e conoscendo per fama un'altra importante casa
editrice di Milano, mi rivolsi ad essa, perché pubblicando d'omnia generis
musicorum, pensavo che in quella farragine potesse trovare un posticino il
mio modesto lavoro. Fu per me molto umiliante questa risposta asciutta
asciutta: - Di libri di cucina non ci occupiamo.
- Finiamola una buona volta -
dissi allora fra me - di mendicare l'aiuto altrui e si pubblichi a tutto mio
rischio e pericolo; - e infatti ne affidai la stampa al tipografo Salvadore
Landi; ma mentre ne trattavo le condizioni mi venne l'idea di farlo offrire ad
un altro editore in grande, più idoneo per simili pubblicazioni. A dire il vero
trovai lui più propenso di tutti; ma, ohimé (di nuovo) a quali patti! L.200
prezzo dell'opera e la cessione dei diritti d'autore. Ciò, e la riluttanza
degli altri, provi in quale discredito erano caduti i libri di cucina in
Italia!
A sì umiliante proposta uscii in
una escandescenza, che non occorre ripetere, e mi avventurai a tutte mie spese
e rischio; ma scoraggiato come ero, nella prevenzione di fare un fiasco
solenne, ne feci tirare mille copie soltanto.
Accadde poco dopo che a
Forlimpopoli, mio paese nativo, erasi indetta una gran fiera di beneficenza e
un amico mi scrisse di contribuirvi con due esemplari della vita del Foscolo;
ma questa essendo allora presso di me esaurita, supplii con due copie della Scienza
in cucina e l' Arte di mangiar bene. Non l'avessi mai fatto, poiché
mi fu riferito che quelli che le vinsero invece di apprezzarle le misero alla
berlina e le andarono a vendere al tabaccaio.
Ma né anche questa fu
l'ultima delle mortificazioni subite, perocché avendone mandata una copia a una
Rivista di Roma, a cui ero associato, non che dire due parole sul merito
del lavoro e fargli un poco di critica, come prometteva un avviso dello stesso
giornale pei libri mandati in dono, lo notò soltanto nella rubrica di quelli
ricevuti, sbagliandone perfino il titolo.
Finalmente dopo tante
bastonature, sorse spontaneamente un uomo di genio a perorar la mia causa. Il
professor Paolo Mantegazza, con quell’intuito pronto e sicuro che lo
distingueva, conobbe subito che quel mio lavoro qualche merito lo aveva,
potendo esser utile alle famiglie; e, rallegrandosi meco, disse: - Col darci
questo libro voi avete fatto un’opera buona e perciò vi auguro cento edizioni.
- Troppe, troppe! -
risposi - sarei contento di due. - Poi con molta mia meraviglia e sorpresa, che
mi confusero, lo elogiò e lo raccomandò all’uditorio in due delle sue
conferenze.
Cominciai allora a
prender coraggio e vedendo che il libro propendeva ad aver esito, benché lento
da prima, scrissi all’ amico di Forlimpopoli, lagnandomi dell’offesa fatta ad
un libro che forse un giorno avrebbe recato onore al loro paese; la
stizza non mi fece dir mio.
Esitata la prima
edizione, sempre con titubanza, perché ancora non ci credevo, misi mano alla
seconda, anche questa di soli mille esemplari; la quale avendo avuto smercio
più sollecito dell’antecedente, mi diè coraggio d’intraprender la terza di
copie duemila e poi la quarta e quinta di tremila ciascuna. A queste seguono, a
intervalli relativamente brevi, sei altre edizioni di quattromila ciascuna e
finalmente, vedendo che questo manuale, quanto più invecchiava più acquistava
favore e la richiesta si faceva sempre più viva, mi decisi a portare a seimila,
a diecimila, poi a quindicimila, il numero delle copie di ciascuna delle
successive edizioni. Con questa trentacinquesima edizione si è giunti in tutto
al numero di 283.000 copie date alla luce finora, e quasi sempre con l’aggiunta
di nuove ricette (perché quest’arte è inesauribile); la qual cosa mi è di
grande conforto specialmente vedendo che il libro è comprato anche da gente
autorevole e da professori di vaglia.
Punzecchiato nell’amor proprio da questo risultato
felice, mi premeva rendermi grato al pubblico con edizioni sempre più eleganti
e corrette e sembrandomi di non vedere in chi presiedeva alla stampa tutto
l’impegno per riuscirvi, gli dissi un giorno in tono di scherzo: - Dunque anche
lei, perché questo mio lavoro sa di stufato, sdegna forse di prenderlo in
considerazione? Sappia però, e lo dico a malincuore, che con le tendenze del
secolo al materialismo e ai godimenti della vita, verrà giorno, e non è
lontano, che saranno maggiormente ricercati e letti gli scritti di questa
specie; cioè di quelli che recano diletto alla mente e danno pascolo al corpo,
a preferenza delle opere, molto più utili all'umanità, dei grandi scienziati.
Cieco chi non lo vede! Stanno
per finire i tempi delle seducenti e lusinghiere ideali illusioni e degli
anacoreti; il mondo corre assetato, anche più che non dovrebbe, alle vive fonti
del piacere, e però chi potesse e sapesse temperare queste pericolose tendenze
con una sana morale avrebbe vinto la palma.
Pongo fine a questa mia
cicalata non senza tributare un elogio e un ringraziamento ben meritati alla
Casa Editrice Bemporad di Firenze, la quale si è data ogni cura di far
conoscere questo mio Manuale al pubblico e di divulgarlo.
PREFAZIO
La cucina è una bricconcella; spesso e volentieri fa
disperare, ma dà anche piacere, perché quelle volte che riuscite o che avete
superata una difficoltà, provate compiacimento e cantate vittoria.
Diffidate dei libri che trattano di quest'arte: Sono
la maggior parte fallaci o incomprensibili, specialmente quelli italiani; meno
peggio i francesi: al più al più, tanto dagli uni che dagli altri potrete
attingere qualche nozione utile quando l’arte la conoscete.
Se non si ha la pretesa di diventare un cuoco di
baldacchino non credo sia necessario per riuscire, di nascere con una
cazzaruola in capo basta la passione, molta attenzione e l'avvezzarsi precisi:
poi scegliete sempre per materia prima roba della più fine, che questa vi farà
figurare.
Il miglior maestro è la pratica sotto un esercente
capace; ma anche senza di esso, con una scorta simile a questa mia, mettendovi
con molto impegno al lavoro, potrete, io spero, annaspar qualche cosa.
Vinto dalle insistenze di molti miei conoscenti e di
signore, che mi onorano della loro amicizia, mi decisi finalmente di pubblicare
il presente volume, la cui materia, già preparata da lungo tempo, serviva per
solo mio uso e consumo. Ve l'offro dunque da semplice dilettante qual sono,
sicuro di non ingannarvi, avendo provati e riprovati più volte questi piatti da
me medesimo; se poi voi non vi riuscirete alla prima, non vi sgomentate; buona
volontà ed insistenza vuol essere, e vi garantisco che giungerete a farli bene
e potrete anche migliorarli, imperocché io non presumo di aver toccato l'apice
della perfezione.
Ma, vedendo che si è giunti con questa alla
trentacinquesima edizione e alla tiratura di duecentottantatremila esemplari,
mi giova credere che nella generalità a queste mie pietanze venga fatto buon
viso e che pochi, per mia fortuna, mi abbiano mandato finora in quel paese per
imbarazzo di stomaco o per altri fenomeni che la decenza mi vieta di nominare.
Non vorrei però che per essermi occupato di culinaria
mi gabellaste per un ghiottone o per un gran pappatore; protesto, se mai,
contro questa taccia poco onorevole, perché non sono né l'una né l'altra cosa.
Amo il bello ed il buono ovunque si trovino e mi ripugna di vedere straziata,
come suol dirsi, la grazia di Dio. Amen.
L’AUTORE A CHI LEGGE
Due sono le funzioni principali della vita: la
nutrizione e la propagazione della specie; a coloro quindi che, rivolgendo la
mente a questi due bisogni dell'esistenza, li studiano e suggeriscono norme
onde vengano sodisfatti nel miglior modo possibile, per render meno triste la
vita stessa, e per giovare all'umanità, sia lecito sperare che questa, pur se
non apprezza le loro fatiche, sia almeno prodiga di un benigno compatimento.
Il senso racchiuso in queste
poche righe, premesse alla terza edizione, essendo stato svolto con più
competenza in una lettera familiare a me diretta dal chiarissimo poeta Lorenzo
Stecchetti, mi procuro il piacere di trascrivervi le sue parole.
Il genere umano - egli dice -
dura solo perché l'uomo ha l'istinto della conservazione e quello della
riproduzione e sente vivissimo il bisogno di sodisfarvi. Alla sodisfazione di
un bisogno va sempre unito un piacere e il piacere della conservazione si ha
nel senso del gusto e quello della riproduzione nel senso del tatto. Se l'uomo
non appetisse il cibo o non provasse stimoli sessuali, il genere umano
finirebbe subito.
Il gusto e il tatto sono quindi
i sensi più necessari, anzi indispensabili alla vita dell'individuo e della
specie. Gli altri aiutano soltanto e si può vivere ciechi e sordi, ma non senza
l'attività funzionale degli organi del gusto.
Come è dunque che nella scala
dei sensi i due più necessari alla vita ed alla sua trasmissione sono reputati
più vili? Perché quel che sodisfa gli altri sensi, pittura, musica, ecc., si
dice arte, si ritiene cosa nobile, ed ignobile invece quel che sodisfa il
gusto? Perché chi gode vedendo un bel quadro o sentendo una bella sinfonia è
reputato superiore a chi gode mangiando un'eccellente vivanda? Ci sono dunque tali
ineguaglianze anche tra i sensi che chi lavora ha una camicia e chi non lavora
ne ha due?
Deve essere pel tirannico regno
che il cervello esercita ora su tutti gli organi del corpo. Al tempo di Menenio
Agrippa dominava lo stomaco, ora non serve nemmeno più, o almeno serve male.
Tra questi eccessivi lavoratori di cervello ce n'è uno che digerisca bene?
Tutto è nervi, nevrosi, nevrastenia, e la statura, la circonferenza toracica,
la forza di resistenza e di riproduzione calano ogni giorno in questa razza di
saggi e di artisti pieni d'ingegno e di rachitide, di delicatezze e di
glandule, che non si nutre, ma si eccita e si regge a forza di caffè, di alcool
e di morfina. Perciò i sensi che si dirigono alla cerebrazione sono stimati più
nobili di quelli che presiedono alla conservazione, e sarebbe ora di cassare
questa ingiusta sentenza.
O santa bicicletta che ci fa
provare la gioia di un robusto appetito a dispetto dei decadenti e dei
decaduti, sognanti la clorosi, la tabe e i gavoccioli dell'arte ideale! All'aria,
all'aria libera e sana, a far rosso il sangue e forti i muscoli! Non
vergogniamoci dunque di mangiare il meglio che si può e ridiamo il suo posto
anche alla gastronomia. Infine anche il tiranno cervello ci guadagnerà, e
questa società malata di nervi finirà per capire che, anche in arte, una
discussione sul cucinare l'anguilla, vale una dissertazione sul sorriso di
Beatrice.
Non si vive di solo pane, è
vero; ci vuole anche il companatico; e l'arte di renderlo più economico, più
sapido, più sano, lo dico e lo sostengo, è vera arte. Riabilitiamo il senso del
gusto e non vergogniamoci di sodisfarlo onestamente, ma il meglio che si può,
come ella ce ne dà i precetti.
ALCUNE NORME D’IGIENE
Tiberio imperatore diceva che l'uomo, giunto all'età
di trentacinque anni, non dovrebbe avere più bisogno di medico. Se questo
aforismo, preso in senso largo è vero, non è men vero che il medico, chiamato a
tempo, può troncare sul bel principio una malattia ed anche salvarvi da
immatura morte; il medico poi se non guarisce, solleva spesso, consola sempre.
La massima dell'imperatore Tiberio è vera in quanto
che l'uomo arrivato a metà del corso della vita dovrebbe avere acquistata tanta
esperienza sopra sé stesso da conoscere ciò che gli nuoce e ciò che gli giova e
con un buon regime dietetico governarsi in modo da tenere in bilico la salute,
la qual cosa non è difficile se questa non è minacciata da vizii organici o da
qualche viscerale lesione. Oltre a ciò dovrebbe l'uomo, giunto a quell'età,
essersi persuaso che la cura profilattica, ossia preventiva, è la migliore, che
ben poco evvi a sperare dalle medicine e che il medico più abile è colui che
ordina poco e cose semplici.
Le persone nervose e troppo sensibili, specialmente se
disoccupate ed apprensive, si figurano di aver mille mali che hanno sede solo
nella loro immaginazione. Una di queste, parlando di sé stessa, diceva un
giorno al suo medico: “Io non capisco come possa campare un uomo con tanti
malanni addosso”. Eppure non solo è campata con qualche incomoduccio comune a
tanti altri; ma essa ha raggiunto una tarda età.
Questi infelici ipocondriaci, che altro non sono,
meritano tutto il nostro compatimento imperocché non sanno svincolarsi dalle
pastoie in cui li tiene una esagerata e continua paura, e non c'è modo a
persuaderli, ritenendosi ingannati dallo zelo di coloro che cercano di
confortarli. Spesso li vedrete coll'occhio torvo e col polso in mano gettar
sospiri, guardarsi con ribrezzo allo specchio ed osservare la lingua; la notte
di soprassalto balzar dal letto, spaventati per palpitar del cuore in sussulto.
Il vitto per essi è una pena, non solo per la scelta de' cibi; ma ora temendo
di aver mangiato troppo, stanno in apprensione di qualche accidente, ora
volendo correggersi con astinenza eccessiva hanno insonnia la notte e sogni
molesti. Col pensiero sempre a sé stessi pel timore di prendere un raffreddore
o un mal di petto, escono ravvolti in modo che sembrano fegatelli nella rete, e
ad ogni po' d'impressione fredda che sentono soprammettono involucri sopra
involucri da disgradarne, sto per dir, le cipolle. Per questi tali non c'è
medicina che valga e un medico coscienzioso dirà loro: divagatevi, distraetevi,
passeggiate spesso all'aria aperta per quanto le vostre forze il comportano,
viaggiate, se avete quattrini, in buona compagnia e guarirete. S'intende bene
che io in questo scritto parlo alle classi agiate, ché i diseredati dalla
fortuna sono costretti, loro malgrado, a fare di necessità virtù e consolarsi
riflettendo che la vita attiva e frugale contribuisce alla robustezza dei corpo
e alla conservazione della salute. Da questi preliminari passando alla
generalità di una buona igiene, permettetemi vi rammenti alcuni precetti che
godono da lungo tempo la sanzione scientifica, ma che non sono ripetuti mai
abbastanza; e per primo, parlandovi del vestiario, mi rivolgo alle signore
mamme e dico ad esse: cominciate a vestir leggieri, fino dall'infanzia, i
vostri bambini, che poi fatti adulti con questo metodo risentiranno meno le
brusche variazioni dell'atmosfera e andranno meno soggetti alle infreddature,
alle bronchiti. Se poi, durante l'inverno, non eleverete ne' vostri
appartamenti il calore delle stufe oltre ai 12 o 14 gradi, vi salverete
probabilmente dalle polmoniti che sono così frequenti oggigiorno.
Alle prime frescure non vi
aggravate, a un tratto, di troppi panni, basta un indumento esterno e precario
per poterlo deporre e riprendere a piacere nel frequente alternarsi della
stagione fino a che non saremo entrati nel freddo costante. Quando poi vi avvicinate
alla primavera rammentatevi allora del seguente proverbio che io trovo di una
verità indiscutibile:
Di aprile non ti alleggerire,
Di maggio va' adagio,
Di giugno getta via lo
cotticugno,
Ma non lo impegnare
Ché potrebbe abbisognare.
Cercate di abitar case sane con molta luce e
ventilate: dov’entra il sole fuggono le malattie. Compassionate quelle signore
che ricevono quasi all'oscuro, che quando andate a visitarle inciampate nei
mobili e non sapete dove posare il cappello. Per questo loro costume di vivere
quasi sempre nella penombra, di non far moto a piedi e all'aria libera ed
aperta, e perché tende naturalmente il loro sesso a ber poco vino e a cibarsi
scarsamente di carne, preferendo i vegetali e i dolciumi, non trovate fra loro le
guance rosee, indizio di prospera salute, le belle carnagioni tutto sangue e
latte, non cicce sode, ma floscie e visi come le vecce fatte nascere al buio
per adornare i sepolcri il giovedì santo. Qual maraviglia allora di veder fra
le donne tante isteriche, nevrotiche ed anemiche?
Avvezzatevi a mangiare d'ogni cosa se non volete
divenire incresciosi alla famiglia. Chi fa delle esclusioni parecchie offende
gli altri e il capo di casa, costretti a seguirlo per non raddoppiar le
pietanze. Non vi fate schiavi del vostro stomaco: questo viscere capriccioso,
che si sdegna per poco, pare si diletti di tormentare specialmente coloro che
mangiano più del bisogno, vizio comune di chi non è costretto dalla necessita
al vitto frugale. A dargli retta, ora con le sue nausee ora col rimandarvi alla
gola il sapore de' cibi ricevuti ed ora con moleste acidità, vi ridurrebbe al
regime de' convalescenti. In questi casi, se non avete nulla a rimproverarvi
per istravizio, muovetegli guerra; combattetelo corpo a corpo per vedere di
vincerlo; ma se poi assolutamente la natura si ribella ad un dato alimento,
allora solo concedetegli la vittoria e smettete.
Chi non esercita attività
muscolare deve vivere più parco degli altri e a questo proposito Agnolo
Pandolfini nel Trattato del governo della famiglia, dice: “Trovo che
molto giova la dieta, la sobrietà, non mangiare, non bere, se non vi sentite
fame o sete. E provo in me questo, per cosa cruda e dura che sia a digestire,
vecchio come io sono, dall'un sole all'altro mi trovo averla digestita.
Figliuoli miei, prendete questa regola brieve, generale e molto perfetta.
Ponete cura in conoscere qual cosa v'è nociva, e da quella vi guardate; e quale
vi giova e fa pro quella seguite e continuate”.
Allo svegliarvi la mattina
consultate ciò che più si confà al vostro stomaco; se non lo sentite del tutto
libero limitatevi ad una tazza di caffè nero, e se la fate precedere da mezzo
bicchier d'acqua frammista a caffè servirà meglio a sbarazzarvi dai residui di
una imperfetta digestione. Se poi vi trovate in perfetto stato e (avvertendo di
non pigliare abbaglio perché c'è anche la falsa fame) sentite subito bisogno di
cibo, indizio certo di buona salute e pronostico di lunga vita, allora viene
opportuno, a seconda del vostro gusto, col caffè nero un crostino imburrato, o
il caffè col latte, oppure la cioccolata. Dopo quattr'ore circa, che tante
occorrono per digerire una colazione ancorché scarsa e liquida, si passa
secondo l'uso moderno alla colazione solida delle 11 o del mezzogiorno.
Questo pasto, per essere il
primo della giornata, è sempre il più appetitoso, e perciò non conviene levarsi
del tutto la fame, se volete gustare il pranzo e, ammenoché non conduciate vita
attiva e di lavoro muscolare, non è bene il pasteggiar col vino, perché il rosso
non è di facile digestione e il bianco essendo alcoolico, turba la mente se
questa deve stare applicata.
Meglio è il pasteggiar la
mattina con acqua pura e bere in fine un bicchierino o due di vino da
bottiglia, oppure il far uso di the semplice o col latte che io trovo molto
omogeneo; non aggrava lo stomaco e, come alimento nervoso e caldo aiuta a
digerire.
Nel pranzo, che è il pasto
principale della giornata e, direi, quasi una festa di famiglia, si può
scialare, ma più durante l'inverno che nell'estate, perché nel caldo si
richiedono alimenti leggieri e facili a digerirsi. Più e diverse qualità di
cibi, dei due regni della natura, ove predomini l'elemento carneo,
contribuiscono meglio a una buona digestione specialmente se annaffiati da vino
vecchio ed asciutto; ma guardatevi dalle scorpacciate come pure da quei cibi
che sono soliti a sciogliervi il corpo, e non dilavate lo stomaco col troppo
bere. A questo proposito alcuni igienisti consigliano il pasteggiar coll'acqua
anche durante il pranzo, serbando il vino alla fine. Fatelo se ve ne sentite il
coraggio; a me sembra un troppo pretendere.
Se volete una buona regola, nel
pranzo arrestatevi al primo boccone che vi fa nausea e senz'altro passate al dessert.
Un'altra buona consuetudine contro le indigestioni e all'esuberanza di
nutrimento è di mangiar leggiero il giorno appresso a quello in cui vi siete
nutriti di cibi gravi e pesanti.
Il gelato non nuoce alla fine
del pranzo, anzi giova, perché richiama al ventricolo il calore opportuno a ben
digerire; ma guardatevi sempre, se la sete non ve lo impone, di bere tra un
pasto e l'altro, per non disturbare la digestione, avendo bisogno questo lavoro
di alta chimica della natura di non essere molestato.
Fra la colazione e il pranzo
lasciate correre un intervallo di sette ore, che tante occorrono per una
completa digestione, anzi non bastano per quelli che l'hanno lenta, cosicché
avendo luogo la colazione alle undici, meglio è trasportare il pranzo alle
sette; ma veramente non si dovrebbe ritornare al cibo altro che quando lo
stomaco chiama con insistenza soccorso, e questo bisogno tanto più presto si
farà imperioso se lo provocate con una passeggiata all'aria libera oppure con
qualche esercizio temperato e piacevole.
“L’esercizio, dice il precitato Agnolo Pandolfini,
conserva la vita, accende il caldo e il vigore naturale, schiuma superchie e
cattive materie e umori, fortifica ogni virtù del corpo e de' nervi; è
necessario a' giovani, utile a' vecchi. Colui non faccia esercizio, che non
vuole vivere sano e lieto. Socrate, si legge, in casa ballava e saltava per
esercitarsi. La vita modesta, riposata e lieta fu sempre ottima medicina alla
sanità”.
La temperanza e l'esercizio dei
corpo sono dunque i due perni su cui la salute si aggira; ma avvertite che quando
eccede, cangiata in vizio la virtù si vede, imperocché le perdite continue
dell'organismo hanno bisogno di riparazione. Dalla pletora per troppo
nutrimento guardatevi dal cadere nell'eccesso opposto di una scarsa e
insufficiente alimentazione per non lasciarvi indebolire.
Durante l'adolescenza ossia nel
crescere, l'uomo ha bisogno di molto nutrimento; per l'adulto e specialmente
pel vecchio la moderazione nel cibo è indispensabile virtù per prolungare la
vita.
A coloro che hanno conservata
ancora la beata usanza de' nostri padri di pranzare a mezzogiorno o al tocco,
rammenterò l'antichissimo adagio: Post prandium stabis et post cenam
ambulabis; a tutti poi, che la prima digestione si fa in bocca, quindi non
si potrebbe mai abbastanza raccomandare la conservazione dei denti, per
triturare e macinare convenientemente i cibi, che coll'aiuto della saliva, si
digeriscono assai meglio di quelli tritati e pestati in cucina, i quali
richiedono poca masticazione, riescono pesanti allo stomaco, come se questo
viscere sentisse sdegno per avergli tolto parte del suo lavoro; anzi molti cibi
riputati indigesti possono riescire digeribili e gustati meglio mediante una
forte masticazione.
Se con la guida di queste norme
saprete regolar bene il vostro stomaco, da debole che era il renderete forte, e
se forte di natura, tale il conserverete senza ricorrere ai medicamenti.
Rifuggite dai purganti, che sono una rovina se usati di frequente, e ricorrete
ad essi ben di rado e soltanto quando la necessità il richieda. Molte volte le
bestie col loro istinto naturale e fors'anche col raziocinio insegnano a noi
come regolarci: il mio carissimo amico Sibillone, quando prendeva
un'indigestione, stava un giorno o due senza mangiare e l'andava a smaltire sui
tetti. Sono quindi da deplorare quelle pietose mamme che, per un'esagerazione
del sentimento materno, tengono gli occhi sempre intenti alla salute de' loro
piccini e ad ogni istante che li vedono un po' mogi o non obbedienti al
secesso, con quella fisima sempre in capo de' bachi, i quali il più sovente non
sono che nella loro immaginazione, non lasciano agir la natura che, in quella
età rigogliosa ed esuberante di vita, fa prodigi lasciata a se stessa; ma
ricorrono subito al medicamento, al clistere.
L'uso de' liquori che, a non istare
in guardia diventa abuso, è riprovato da tutti gli igienisti pei guasti
irreparabili che cagionano nell'organismo umano. Può fare eccezione soltanto un
qualche leggero poncino di cognac (sia pure con l'odore del rhum) nelle fredde
serate d'inverno, perché aiuta nella notte la digestione e vi trovate la
mattina con lo stomaco più libero e la bocca migliore.
Male, male assai poi fanno coloro che si lasciano
vincere dal vino. A poco a poco, sentono nausea al cibo e si nutrono quasi
esclusivamente di quello; indi si degradano agli occhi del mondo, diventando
ridicoli, pericolosi e bestiali. C'era un mercante che quando arrivava in una
città si fermava ad una cantonata per osservar la gente che passava e quando
vedeva uno col naso rosso era sollecito a chiedergli dove si vendeva il vino
buono. Anche passando sopra al marchio d'intemperanza che questo vizio imprime
spesso sul viso, e a certe scene che destano soltanto un senso d'ilarità - come
quella di un cuoco il quale, mentre i suoi padroni aspettavano a cena, teneva
la padella sopra l'acquaio e furiosamente faceva vento al di sotto - è certo
che quando vedete questi beoni, che cogli occhi imbambolati, mal pronunciando
l'erre dicono e fanno sciocchezze spesso compromettenti, vi sentite serrare il
cuore nel timore che non si passi alle risse e dalle risse al coltello come
avviene sovente. Persistendo ancora in questo vizio brutale, che si fa sempre
più imperioso, si diventa ubriaconi incorreggibili; i quali tutti finiscono
miseramente.
Neppure sono da lodarsi coloro
che cercano di procrastinare l'appetito cogli eccitanti, imperocché se
avvezzate il ventricolo ad aver bisogno di agenti esterni per aiutarlo a
digerire finirete per isnervare la sua vitalità e l'elaborazione de' succhi
gastrici diverrà difettosa. Quanto al sonno e il riposo sono funzioni
assolutamente relative da conformarle al bisogno dell'individuo, poiché tutti
non siamo ugualmente conformati, e segue talvolta che uno si senta un malessere
generale e indefinibile senza potersene rendere ragione e questo da altro non
deriva che da mancanza di riposo riparatore.
Chiudo la serie di questi precetti, gettati giù così
alla buona e senza pretese, coi seguenti due proverbi, tolti dalla letteratura
straniera, non senza augurare al lettore felicità e lunga vita.
PROVERBIO INGLESE
Early to bed and
early to rise
Makes a man
healthy, wealthy and wise
Coricarsi presto ed alzarsi presto
Fanno l'uomo sano, ricco e saggio.
PROVERBIO FRANCESE
Se lever à six, déjeuner
a dix
Diner à six, se coucher à
dix,
Fait vivre l’homme dix
fois dix.
Alzarsi alle sei, far colazione alle dieci,
Pranzare alle sei, coricarsi
alle dieci
Fa viver l'uomo dieci volte
dieci.
X
Lettera del poeta Lorenzo
Stecchetti (Olindo Guerrini) a cui mandai in dono una copia del mio libro di
cucina, terza edizione:
On. Signor mio,
Ella non può immaginate che gradita sorpresa mi abbia
fatto il suo volume, dove si compiacque di ricordarmi! Io sono stato e sono uno
degli apostoli più ferventi ed antichi dell'opera sua che ho trovato la migliore,
la più pratica, e la più bella, non dico di tutte le italiane che sono vere
birbonate, ma anche delle straniere. Ricorda ella il Vialardi che fa testo in
Piemonte?
“GILLÒ ABBRAGIATO. - La volaglia spennata si
abbrustia, non si sboglienta, ma la longia di bue piccata di trifola cesellata
e di giambone, si ruola a forma di valigia in una braciera con butirro.
Umiditela soventemente con grassa e sgorgate e imbianchite due animelle e
fatene una farcia da chenelle grosse un turacciolo, da bordare la longia. Cotta
che sia, giusta di sale, verniciatela con salsa di tomatiche ridotta spessa da
velare e fate per guarnitura una macedonia di mellonetti e zuccotti e servite
in terrina ben caldo”.
Non è nel libro, ma i termini
ci sono tutti.
Quanto agli altri Re dei
Cuochi, Regina delle Cuoche ed altre maestà culinarie, non abbiamo che
traduzioni dal francese o compilazioni sgangherate. Per trovare una ricetta
pratica e adatta per una famiglia bisogna andare a tentone, indovinare,
sbagliare. Quindi benedetto l’Artusi! È un coro questo, un coro che le viene di
Romagna, dove ho predicato con vero entusiasmo il suo volume. Da ogni parte me
ne vennero elogi. Un mio caro parente mi scriveva: “Finalmente abbiamo un libro
di cucina e non di cannibalismo, perché tutti gli altri dicono: prendete il
vostro fegato, tagliatelo a fette, ecc.” e mi ringraziava.
Avevo anch’io l’idea di fare un
libro di cucina da mettere nei manuali dell’Hoepli. Avrei voluto fare un libro,
come si dice di volgarizzazione; ma un poco il tempo mi mancò, un poco ragioni
di bilancio mi rendevano difficile la parte sperimentale e finalmente venne il
suo libro che mi scoraggiò affatto. L’idea mi passò, ma mi è rimasta una
discreta collezione di libri di cucina che fa bella mostra di sé in uno scaffale
della sala da pranzo. La prima edizione del suo libro, rilegata, interfogliata
ed arricchita (?) di parecchie ricette, vi ha il posto d’onore. La seconda
serve alla consultazione quotidiana e la terza ruberà ora il posto d’onore alla
prima perché superba dell’autografo dell’Autore.
Così, come Ella vede, da un
pezzo conosco, stimo e consiglio l’opera sua ed Ella intenda perciò con che
vivissimo piacere abbia accolto l’esemplare cortesemente inviatomi. Prima il
mio stomaco solo provava una doverosa riconoscenza verso di Lei; ora allo
stomaco si aggiunge l’animo. È perciò, Egregio Signore, che rendendole
vivissime grazie del dono e della cortesia, mi onoro di rassegnarmi colla
dovuta gratitudine e stima.
Bologna, 19-XII-96
Suo Dev.mo
Olindo
Guerrini
X
La contessa Maria Fantoni, ora
vedova dell’illustre professor Paolo Mantegazza, mi fece la inaspettata
sorpresa di onorarmi dell’infrascritta lettera, la quale serbo in conto di
gradito premio alle mie povere fatiche.
San Terenzo
(Golfo della Spezia)
14 novembre
’97
Gentil.mo Signor Artusi,
Mi scusi la sfacciataggine, ma
sento proprio il bisogno di dirle, quanto il suo libro mi sia utile e caro; sì,
caro, perché nemmeno uno dei piatti che ho fatto mi è riuscito poco bene,
e anzi taluni così perfetti da riceverne elogi, e siccome il merito è suo,
voglio dirglielo per ringraziarlo sinceramente.
Ho fatto una
sua gelatina di cotogne che anderà in America; l'ho mandata a mio figliastro a
Buenos Ayres e sono sicura che sarà apprezzata al suo giusto valore. E poi lei
scrive e descrive così chiaramente che il mettere in esecuzione le sue ricette
è un vero piacere e io ne provo soddisfazione.
Tutto questo
volevo dirle e per questo mi sono permessa indirizzarle questa lettera.
Mio marito
vuole esserle rammentato con affetto.
Ed io le
stringo la mano riconoscentissima.
Maria
Mantegazza
X
Le commedie
della cucina, ossia la disperazione dei poveri cuochi, quando i loro padroni
invitano gli amici a pranzo (scena tolta dal vero, soltanto i nomi cambiati):
Dice il padrone
al suo cuoco:
- Bada
Francesco che la signora Carli non mangia pesce, né fresco né salato, e non
tollera neanche l'odore de' suoi derivati. Lo sai già che il marchese Gandi
sente disgusto all'odore della vainiglia. Guardati bene dalla noce moscata e
dalle spezie, perché l'avvocato Cesari questi aromi li detesta. Nei dolci che
farai avverti di escludere le mandorle amare, ché non li mangerebbe Donna
Matilde d'Alcantara. Già sai che il mio buon amico Moscardi non fa mai uso
nella sua cucina di prosciutto, lardo, carnesecca e lardone, perché questi
condimenti gli promuovono le flatulenze; dunque non ne usare in questo pranzo
onde non si dovesse ammalare.
Francesco,
che sta ad ascoltare il padrone a bocca aperta, finalmente esclama:
- Ne ha più
delle esclusioni da fare, sior padrone?
- A dirti il vero, io che
conosco il gusto de' miei invitati, ne avrei qualche altra su cui metterti in
guardia. So che qualcuno di loro fa eccezione alla carne di castrato e dice che
sa di sego, altri che l'agnello non è di facile digestione; diversi poi mi
asserirono, accademicamente parlando, che quando mangiano cavolo o patate sono
presi da timpanite, cioè portano il corpo gonfio tutta la notte e fanno
sognacci; ma per questi tiriamo via, passiamoci sopra.
- Allora ho capito - soggiunge
il cuoco, e partendo borbotta tra sé: - Per contentare tutti questi signori e
scongiurare la timpanite, mi recherò alla residenza di Marco (il ciuco di casa)
a chiedergli, per grazia, il suo savio parere e un vassoio de' suoi prodotti,
senza il relativo condimento!
SPIEGAZIONE
DI VOCI CHE ESSENDO DEL VOLGARE TOSCANO
NON TUTTI
INTENDEREBBERO
Bianchire. Vedi imbiancare.
Bietola. Erba comune per uso di cucina, a foglie grandi
lanceolate, conosciuta in alcuni luoghi col nome di erbe o erbette.
Caldana. Quella stanzetta sopra la volta del forno, dove i
fornai mettono a lievitare il pane.
Carnesecca. Pancetta del maiale salata.
Cipolla. Parlando di polli, vale ventriglio.
Costoletta. Braciuola colla costola, di vitella di latte, di
agnello, di castrato e simili.
Cotoletta. Parola francese di uso comune per indicare un pezzo di
carne magra, ordinariamente di vitella di latte, non più grande della palma di
una mano, battuta e stiacciata, panata e dorata.
Crema pasticcera. Crema con la farina onde riesca meno liquida.
Fagiuoli sgranati. Fagiuoli quasi giunti a maturazione e levati
freschi dal baccello.
Farina d'Ungheria. È farina di grano finissima che trovasi in commercio
nelle grandi città.
Filetto. Muscolo carnoso e tenero che resta sotto la groppa dei
quadrupedi; ma per estensione, dicesi anche della polpa dei pesci e dei
volatili.
Frattagliaio. Venditore di frattaglie,
Frattaglie. Tutte le interiora e le cose minute dell'animale
macellato.
Fumetto. Liquore cori estratto di anaci chiamato mistrò in
alcune provincie d'Italia.
Imbiancare. Lessare a metà.
Lardatoio. Arnese di cucina per lo più di ottone in forma di
grosso punteruolo per steccare la carne con lardone o prosciutto.
Lardo. Strutto di maiale che serve a vari usi, ma più che
altro per friggere. (A Napoli nzogna).
Lardone. Falda grassa e salata della schiena del maiale.
Lardo vergine. Lardo non ancora adoperato.
Lunetta o mezzaluna. Arnese di ferro tagliente dalla
parte esteriore ad uso di cucina per tritare carne, erbe o simili, fatto a
foggia di mezza luna, con manichi di legno alle due estremità.
Matterello. Legno lungo circa un metro e ben rotondo, col quale si
spiana e si assottiglia la pasta per far tagliatelle od altro.
Mestolo. Specie di cucchiaio di legno, pochissimo incavato e di
lungo manico, che serve a rimestar le vivande nei vasi da cucina.
Odori o mazzetto guarnito. Erbaggi odorosi, come
carota, sedano, prezzemolo, basilico, ecc. Il mazzetto si lega con un filo.
Panare. Involgere pezzetti di carne, come sarebbero le cotolette
od altro, nel pangrattato prima di cuocerli.
Pasto. Polmone dei quadrupedi.
Pietra. Rognone, arnione.
Sauté. Così chiamasi con nome francese quel vaso di rame in
forma di cazzaruola larga, ma assai più bassa, con manico lungo, che serve per
friggere a fuoco lento.
Scaloppe o
scaloppine. Fette di carne magra di vitella piccole, ben battute e cotte
senza dorarle.
Spianatoia. Asse
di abete larga e levigata sopra la quale si lavorano le paste. In alcuni
luoghi, fuori della Toscana, si chiama impropriamente tagliere; ma il tagliere
è quell'arnese di legno, grosso, quadrilatero e col manico, sul quale si batte
la carne, si trita il battuto, ecc.
Staccio. Lo staccio da passar sughi o carne pestata è di crino
nero doppio o di sottil filo di ferro e molto più rado degli stacci comuni.
Tagliere. Vedi
Spianatoia.
Tritacarne.
Ho adottato anch'io, nella mia
cucina, questo strumento che risparmia la fatica di tritare col coltello
e pestar nel mortaio la carne.
Vassoio. Piatto di forma ovale sul quale si portano le vivande
in tavola.
Vitella o carne
di vitella. Carne di bestia grossa, non invecchiata nel lavoro. Nell'uso
comune la confondono col manzo.
Zucchero
a velo. Zucchero bianco pestato fine
e passato per uno staccio di velo.
Zucchero vanigliato. Zucchero biondo a cui è stato dato l'odore della vainiglia.
Sento che alcuni trovano
qualche difficoltà a raccapezzarsi per la misura dei liquidi. Davvero che
questo si chiamerebbe affogare in un bicchier d'acqua. Per bacco baccone!...
comperate il misurino bollato del decilitro e con esso troverete tutte le
misure di capacità segnate in questo volume.
La misura del decilitro corrisponde a 100 grammi di
liquido.
Tre decilitri fanno un
bicchiere comune, misura di cui qualche volta mi servo.
POTERE
NUTRITIVO DELLE CARNI
Prima di entrare in materia,
credo opportuno, senza pretendere di essere scientificamente esatto, di porre
qui in ordine decrescente per forza di nutrizione, le carni di diversi animali.
1° Cacciagione, ossia
selvaggina di penna e piccione.
2° Manzo.
3° Vitella.
4° Pollame.
5° Vitella di latte.
6° Castrato.
7° Selvaggina di pelo.
8° Agnello.
9° Maiale.
10° Pesce.
Ma questo prospetto può dare
argomento a molte obiezioni, perocché l'età, l'ambiente in cui gli animali
vivono, e il genere di alimentazione, possono modificare sensibilmente la
natura delle carni, non solo tra individui della stessa specie, ma render vani
in parte gli apprezzamenti addotti tra le specie diverse.
La vecchia gallina, ad esempio,
fa un brodo migliore del manzo, e il montone, che si pasce delle erbe
aromatiche delle alte montagne, può dare una carne più saporita e sostanziosa
di quella della vitella di latte. Tra i pesci poi ve ne ha alcuni, fra i quali
il carpione (specie di trota), che nutriscono quanto, e più, dei quadrupedi.
FRUSTATA
Il mondo ipocrita non vuoi dare importanza al
mangiare; ma poi non si fa festa, civile o religiosa, che non si distenda la
tovaglia e non si cerchi di pappare del meglio.
Il Pananti dice:
Tutte le società, tutte le
feste
Cominciano e finiscono in
pappate,
E prima che s'accomodin le
teste
Voglion esser le pance
accomodate.
I preti che non son dei
meno accorti,
Fan dieci miglia per un
desinare.
O che si faccia
l'uffizio dei morti,
O la festa del santo
titolare,
Se non c'è dopo la sua
pappatoria
Il salmo non finisce
con la gloria.