ARTUSI LIBRO 7
520. PALOMBO IN UMIDO
Tagliatelo a pezzi piuttosto grossi e poi fate un
battuto con aglio, prezzemolo e pochissima cipolla. Mettetelo al fuoco con olio
e, quando avrà soffritto a sufficienza, collocateci il palombo e conditelo con
sale e pepe. Rosolato che sia versateci un po' di vino rosso, o bianco
asciutto, e sugo di pomodoro o conserva per tirarlo a cottura.
ARROSTI
Gli
arrosti allo spiede, eccezion fatta degli uccelli e dei piccioni, ne' quali sta
bene la salvia intera, non si usa più di lardellarli né di pillottarli, né di
steccarli con aglio, ramerino od altri odori consimili che facilmente stuccano
o tornano a gola. Dove l'olio è buono ungeteli con questo liquido, altrimenti
usate lardo o burro ove, per qualche ragione locale, si suol dar la preferenza
all'uno più che all'altro di questi condimenti.
L'arrosto, in generale, si preferisce saporito e però
largheggiate alquanto col sale per le carni di vitella di latte, agnello,
capretto, pollame e maiale: tenetevi più scarsi colle carni grosse e
coll'uccellame perché queste sono carni per sé stesse assai saporite; ma salate
sempre a mezza o anche a due terzi di cottura. Commettono grave errore coloro
che salano un arrosto qualunque prima di infilarlo nello spiede perché il fuoco
allora lo prosciuga, anzi lo risecchisce.
Il maiale e le carni di bestie lattanti, come vitella
di latte, agnello, capretto e simili, debbono esser ben cotte per prosciugare
la soverchia loro umidità. Il manzo e il castrato cuoceteli assai meno perché,
essendo queste carni molto asciutte devono restare sugose. Gli uccelli
cuoceteli a fiamma, ma badate di non arrivarli troppo, ché quelle carni
perderebbero allora gran parte del loro aroma; però avvertite che non
sanguinino il che potrete conoscere pungendoli sotto l'ala. Anche dei polli si
può conoscere la giusta cottura quando, pungendoli nella stessa maniera, non
esce più sugo.
Le carni di pollo risulteranno più tenere e di miglior
colore se le arrostirete involtate dentro ad un foglio la cui parte aderente
alla carne sia prima stata unta di burro; per evitare che la carta bruci,
ungetela spesso all'esterno. A mezza cottura levate il foglio e terminate di
cuocere il pollo, il tacchino o altro che sia, salandoli ed ungendoli.
In questo caso sarà bene di mettere un po' di sale nel
loro interno prima d'infilarli allo spiede e di steccar con lardone il petto
de' tacchini e delle galline di Faraone. Qui è bene avvertire che il piccione
giovane e il cappone ingrassato, sia arrosto che lesso, sono migliori diacci
che caldi e stuccano meno.
Le carni arrostite conservano meglio, che preparate in
qualunque altra maniera, le loro proprietà alimentari e si digeriscono più
facilmente.
521. ROAST-BEEF I
Questa voce inglese è penetrata in Italia col nome
volgare di rosbiffe, che vuoi dire bue arrosto. Un buon rosbíffe è
un piatto di gran compenso in un pranzo ove predomini il genere maschile, il
quale non si appaga di bricciche come le donne, ma vuoi ficcare il dente in
qualche cosa di sodo e di sostanzioso.
Il pezzo che meglio si presta è la lombata indicata
per la bistecca alla fiorentina n. 556. Onde riesca tenero, deve essere di
bestia giovane e deve superare il peso di un chilogrammo, perché il fuoco non
lo prosciughi, derivando la bellezza e bontà sua dal punto giusto della cottura
indicato dal color roseo all'interno e dalla quantità del sugo che emette
affettandolo. Per ottenerlo in codesto modo cuocetelo a fuoco ardente e bene
acceso fin da principio onde sia preso subito alla superficie; ungetelo con
l'olio, che poi scolerete dalla leccarda, e per ultimo passategli sopra un
ramaiuolo di brodo, il quale, unito all'unto caduto dal rosbiffe, servirà
di sugo al pezzo quando lo mandate in tavola. Salatelo a mezza cottura
tenendovi un po' scarsi perché questa qualità di carne, come già dissi, è per
sé saporita, e abbiate sempre presente che il benefico sale è il più fiero
nemico di una buona cucina.
Mettetelo al fuoco mezz'ora prima di mandare la
minestra in tavola, il che è sufficiente se il pezzo non è molto grosso, e per
conoscerne la cottura pungetelo nella patte più grossa con un sottile
lardatoio, ma non bucatelo spesso perché non dissughi. Il sugo che n'esce non
dev'essere né di color del sangue, né cupo. Le patate per contorno rosolatele a
parte nell'olio da crude e sbucciate, intere se sono piccole, e a quarti se
sono grosse.
Il rosbiffe si può anche mandare al forno, ma
non viene buono come allo spiede. In questo caso conditelo con sale, olio e un
pezzo di burro, contornatelo di patate crude sbucciate, e versate
nel tegame un bicchiere d'acqua.
Se il rosbiffe avanzato non vi piace freddo,
tagliatelo a fette, rifatelo con burro e sugo di carne o di pomodoro.
522. ROAST-BEEF II
Questa seconda maniera di cuocere il rosbiffe mi
sembra che sia da preferirsi alla prima, perché rimane più sugoso e più profumato.
Dopo averlo infilato nello spiede, involtatelo in un foglio bianco non troppo
sottile e bene imburrato con burro diaccío: legatelo alle due estremità onde
resti ben chiuso e mettetelo al fuoco di carbone molto acceso. Giratelo e
quando sarà quasi cotto strappate via la carta, salatelo e fategli prendere il
colore. Tolto dal fuoco, chiudetelo tra due piatti e dopo dieci minuti servitelo.
523. SFILETTATO TARTUFATO
I macellari di Firenze chiamano sfilettato la
lombata di manzo o di vitella a cui sia stato levato il filetto.
Prendete dunque un pezzo grosso di sfilettato e
steccatelo tutto con pezzetti di tartufi, meglio bianchi che neri, tagliati a
punta e lunghi tre centimetri circa, unendo ad ognuno di questi un pezzetto di
burro per riempire il buco che avrete aperto con la punta del coltello per
inserirli. Fate delle incisioni a traverso la cotenna onde non si ritiri,
legatelo ed infilatelo nello spiede per cuocerlo. A due terzi di cottura
dategli un'untatina con olio e salatelo scarsamente, perché queste carni di
bestie grosse sono assai saporite e non hanno bisogno di molto condimento.
524. ARROSTO DI VITELLA DI LATTE
La vitella di latte si macella in tutti i mesi
dell'anno; ma nella primavera e nell'estate la troverete più grassa, più nutrita
e di miglior sapore. I pezzi che più si prestano per l'arrosto allo spiede sono
la lombata e il culaccio, e non hanno bisogno che d'olio e sale per condimento.
Gli stessi pezzi si possono cuocere in tegame,
leggermente steccati d'aglio e ramerino, con olio, burro e un battutino di
carnesecca, sale, pepe e sugo di pomodoro per cuocere nell'intinto piselli
freschi. E questo un piatto che piace a molti.
525. PETTO DI VITELLA DI LATTE IN FORNO
Se io sapessi chi inventò il forno vorrei erigergli un
monumento a mie spese; in questo secolo di monumentomania credo che ei
lo meriterebbe più di qualcun altro.
Trattandosi di un piatto di famiglia lasciate il pezzo
come sta, con tutte le sue ossa, e se non eccedesse il peso di 600 a 700 grammi
potete cuocerlo al forno da campagna. In questo caso steccatelo con grammi 50 o
60 di prosciutto più magro che grasso tagliato fine, legatelo onde stia
raccolto, spalmatelo tutto copiosamente di lardo (strutto) e salatelo.
Collocatelo in una teglia e una diecina di minuti prima di levarlo dal fuoco
uniteci delle patate che, in quell'unto, vengono molto buone.
Invece dello strutto potete servirvi di burro e olio e
invece del prosciutto salarlo generosamente.
526. ARROSTO MORTO
Potete fare nella maniera che sto per dire ogni sorta
di carne; ma quella che più si presta, a parer mio, è la vitella di latte.
Prendetene un bel pezzo nella lombata che abbia unita anche la pietra.
Arrocchiatelo e legatelo con uno spago perché stia più raccolto e mettetelo al
fuoco in una cazzaruola con olio fine e burro, ambedue in poca quantità.
Rosolatelo da tutte le parti, salatelo a mezza cottura e finite di cuocerlo col
brodo in guisa che vi resti poco o punto sugo.
Sentirete un arrosto che se non ha il profumo e il
sapore di quello fatto allo spiede avrà in compenso il tenero e la delicatezza.
Se non avete il brodo servitevi del sugo di pomodoro o conserva sciolta
nell'acqua. Se vi piace più saporito aggiungete carnesecca tritata fine.
527. ARROSTO MORTO COLL’ODORE DELL’AGLIO E DEL
RAMERINO
Se, piacendovi questi odori, non amate che tornino a
gola, non fate come coloro che steccano un pollo, un pezzo di filetto o altra
carne qualunque con pezzi d'aglio e ramerino; ma regolandovi, quanto alla
cucinatura, come nel caso precedente, gettate nella cazzaruola uno spicchio di
aglio intero e due ciocche di ramerino. Quando mandate l'arrosto in tavola
passate il suo sugo ristretto senza spremerlo e contornate, se credete, il
pezzo della carne con patate, od erbaggi rifatti a parte. In questo caso, piacendovi,
potete anche aggraziare la carne con pochissimo sugo di pomodoro o conserva.
Il cosciotto d'agnello viene assai bene in questa
maniera, cotto tra due fuochi.
528. UCCELLI ARROSTO
Gli uccelli devono essere freschi e grassi; ma
soprattutto freschi. In que' paesi dove si vendono già pelati bisogna essere
tondi bene per farsi mettere in mezzo. Se li vedete verdi o col brachiere, cioè
col buzzo nero, girate largo; ma se qualche volta rimaneste ingannati,
cucinateli come il piccione in umido n. 276, perché se li mettete allo spiede,
oltreché aprirsi tutti durante la cottura, tramandano, molto più che fatti in
umido, quel fetore della putrefazione, ossia della carne faisandée come
la chiamano i Francesi: puzzo intollerabile alle persone di buon gusto, ma che
purtroppo non dispiace in qualche provincia d'Italia ove il gusto, per lunga
consuetudine, si è depravato fors'anche a scapito della salute.
Un'eccezione potrebbe farsi per le carni del fagiano e
della beccaccia, le quali, quando sono frolle, pare acquistino, oltre alla
tenerezza, un profumo particolare, specialmente poi se il fagiano lasciasi
frollare senza pelarlo. Ma badiamo di non far loro oltrepassare il primo
indizio della putrefazione perché altrimenti potrebbe accadervi come accadde a
me quando avendomi un signore invitato a pranzo in una trattoria molto
rinomata, ordinò, fra le altre cose per farmi onore, una beccaccia coi
crostini; ebbene questa tramandava dal bel mezzo della tavola un tale fetore
che, sentendomi rivoltar lo stomaco, non fui capace neppure di appressarmela
alla bocca, lasciando lui mortificato ed io col dolore di non aver potuto
aggradire la cortesia dell'amico.
Gli uccelli dunque, siano tordi, allodole o altri più
minuti, non vuotateli mai e prima d'infilarli acconciateli in questa guisa:
rovesciate loro le ali sul dorso onde ognuna di esse tenga ferme una o due
foglie di salvia; le zampe tagliatele all'estremità ed incrociatele facendone
passare una sopra il ginocchio dell'altra, forando il tendine, e in questa
incrociatura ponete una ciocchettina di salvia. Poi infilateli collocando i più
grossi nel mezzo tramezzandoli con un crostino, ossia una fettina di pane di un
giorno grossa un centimetro e mezzo, oppure, se trovasi, un bastoncino tagliato
a sbieco.
Con fettine di lardone, salate avanti e sottili quanto
la carta, fasciate il petto dell'uccello in modo che si possa infilare nello
spiede insieme col pane.
Cuoceteli a fiamma e se il loro becco non l'avete
confitto nello sterno, teneteli prima fermi alquanto col capo penzoloni onde
facciano, come suol dirsi, il collo; ungeteli una volta sola coll'olio quando
cominciano a rosolare servendovi di un pennello o di una penna per non toccare
i crostini, i quali sono già a sufficienza conditi dai due lardelli e salateli
una volta sola. Metteteli al fuoco ben tardi perché dovendo cuocere alla svelta
c'è il caso che arrivino presto e risecchiscano. Quando li mandate in tavola
sfilateli pari pari, onde restino uniti sul vassoio e composti in fila, che
così faranno più bella mostra.
Quanto all'arrosto d'anatra o di germano, che sa di
selvatico, alcuni gli spremono sopra un limone quando comincia a colorire e
l'ungono con quell'agro e coll'olio insieme raccolto nella ghiotta.
529. ARROSTO D’AGNELLO ALL’ARETINA
L'agnello comincia ad esser buono in dicembre, e per Pasqua o è cominciata
o sta per cominciare la sua decadenza.
Prendete un cosciotto o un quarto d'agnello, conditelo
con sale, pepe, olio e un gocciolo d'aceto. Bucatelo qua e là colla punta di un
coltello e lasciatelo in questo guazzo per diverse ore. Infilatelo nello spiede
e con un ramoscello di ramerino ungetelo spesso fino a cottura con questo
liquido, il quale serve a levare all'agnello il sito di stalla, se temete che
l'abbia, e a dargli un gusto non disgradevole.
Piacendovi più pronunziato l'odore del ramerino potete
steccare il pezzo con alcune ciocche del medesimo, levandole prima di mandarlo
in tavola.
530. COSCIOTTO DI CASTRATO ARROSTO
La stagione del castrato è dall'ottobre al maggio. Dicesi
che si deve preferire quello di gamba corta e di carne color rosso bruno. Il
cosciotto arrostito offre un nutrimento sano e nutriente, opportuno
specialmente a chi ha tendenza alla pinguedine.
Prima di cuocerlo lasciatelo frollare diversi giorni,
più o meno a seconda della temperatura. Prima d'infilarlo allo spiede battetelo
ben bene con un mazzuolo di legno, poi spellatelo e levategli, senza troppo
straziarlo, l'osso di mezzo. Dopo, perché resti tutto raccolto, legatelo e
dategli fuoco ardente da principio, e a mezza cottura diminuite il calore.
Quando comincia a gettare il sugo, che raccoglierete nella leccarda, bagnatelo
col medesimo e con brodo digrassato, nient'altro. Salatelo a cottura quasi
completa; ma badate che non riesca troppo cotto né che sanguini e servitelo in
tavola col suo sugo in una salsiera e perché faccia miglior figura involgete
l'estremità dell'osso della gamba in carta bianca frastagliata.
531. ARROSTO DI LEPRE I
Le parti della lepre (Lepus timidus) adatte per
fare allo spiede sono i quarti di dietro; ma le membra di questa selvaggina
sono coperte di pellicole che bisogna accuratamente levare, prima di cucinarle,
senza troppo intaccare i muscoli.
Avanti di arrostirla tenetela in infusione per dodici
o quattordici ore in un liquido così preparato: mettete al fuoco in una
cazzaruola tre bicchieri d'acqua con mezzo bicchier d'aceto o anche meno in
proporzione del pezzo, tre o quattro scalogni troncati, una o due foglie
d'alloro, un mazzettino di prezzemolo, un pochino di sale e una presa di pepe;
fatelo bollire per cinque o sei minuti e versatelo diaccio sulla lepre. Tolta
dall'infusione asciugatela e steccatela tutta col lardatoio con fettine di
lardone di qualità fine. Cuocetela a fuoco lento, salatela a sufficienza ed
ungetela con panna di latte e nient'altro.
Dicono che il fegato della lepre non si deve mangiare
perché nocivo alla salute.
532. ARROSTO DI LEPRE II
Se la lepre sarà ben frolla potete arrostire i quarti
di dietro senza farli precedere dall'infusione nella seguente maniera. Levate
le pellicole più grosse dai muscoli esterni e steccate tutto il pezzo di
lardelli di lardone che avrete salati avanti. Infilato allo spiede, avvolgetelo
in una carta imburrata e cosparsa di sale. Quando sarà cotto togliete la carta
e con un ramoscello di ramerino intinto nel burro, ungetelo e fatelo colorire,
salandolo ancora un poco.
533. CONIGLIO ARROSTO
Anche per un arrosto di coniglio allo spiede non si
prestano che i quarti di dietro. Steccatelo di lardone, ungetelo con olio o,
meglio, col burro e salatelo a cottura quasi completa.
534. ARROSTO MORTO LARDELLATO
Prendete, mettiamo, un pezzo corto e grosso di magro,
di vitella o di manzo, nella coscia o nel culaccio, ben frollo e del peso di un
chilogrammo all'incirca; steccatelo con grammi 30 di prosciutto grasso e magro
tagliato a fettine. Legatelo collo spago per tenerlo raccolto e mettetelo in
una cazzaruola con grammi 30 di burro, un quarto di una cipolla diviso in due
pezzi, tre o quattro costole di sedano lunghe meno di un dito ed altrettante
strisce di carota. Condite con sale e pepe e quando la carne avrà preso colore,
voltandola spesso, annaffiatela con due piccoli ramaiuoli d'acqua e tiratela a
cottura con fuoco lento, lasciandole prosciugare molta parte dell'umido, ma badate
non vi si risecchi e diventi nera. Quando la mandate in tavola passate il poco
succo rimasto e versatelo sulla carne che potrete contornar di patate a
spicchi, rosolati nel burro o nell'olio.
Potete anche metter l'arrosto morto al fuoco col solo
burro e tirarlo a cottura con la cazzaruola coperta da una scodella piena
d'acqua.
535. PICCIONE A SORPRESA
È una sorpresa de' miei stivali; ma comunque sia è
bene conoscerla perché non è cosa da disprezzarsi.
Se avete un piccione da mettere allo spiede e volete
farlo bastare a più di una persona, riempitelo con una braciuola di vitella o
di vitella di latte. S'intende che questa braciuola dev'essere di grandezza
proporzionata.
Battetela bene per renderla più sottile e più morbida,
conditela con sale, pepe, una presina di spezie e qualche pezzetto di burro,
arrocchiatela e mettetela dentro al piccione cucendone l'apertura. Se al
condimento suddetto aggiungerete delle fettine di tartufi sarà meglio che mai.
Potete anche cuocere a parte la cipollina e il fegatino del piccione nel sugo o
nel burro, pestarli e con essi spalmare la braciuola; così l'aroma differente
delle due qualità di carne si amalgama e si forma un gusto migliore.
Ciò che si è detto pel piccione valga per un
pollastro.
536. QUAGLIETTE
Servitevi delle bracioline ripiene del n. 307, oppure
fate l'involucro con vitella di latte e quando saranno ripiene, fasciatele con
una fettina sottilissima di lardone e legatele in croce col refe. Infilatele
nello spiede per cuocerle arrosto, ognuna fra due crostini e con qualche foglia
di salvia, ungetele coll'olio, salatele, bagnatele con qualche cucchiaiata di
brodo e scioglietele quando le mandate in tavola.
Anche col filetto di manzo a pezzetti, fasciato di lardone,
coll'odore della salvia e fra due crostini, si ottiene un buonissimo arrosto.
537. BRACIUOLA DI MANZO RIPIENA ARROSTO
Una braciuola di manzo grossa un dito del peso di
grammi 500.
Magro di vitella di latte, grammi 200.
Prosciutto grasso e magro, grammi 30.
Lingua salata, grammi 30.
Parmigiano grattato, grammi 30.
Burro, grammi 30.
Fegatini di pollo, n. 2.
Uova, n. l.
Una midolla di pane fresco grossa un pugno
Fate un battutino con cipolla quanto una noce, un poco
di sedano, carota e prezzemolo; mettetelo al fuoco col detto burro e, rosolato
che sia, gettateci la vitella di latte a pezzetti e i fegatini, poco sale e
pepe per condimento, tirando la carne a cottura con un po' di brodo. Levatela
asciutta per tritarla fine colla lunetta e nell'intinto che resta fate una
pappa soda con la midolla del pane, bagnandola con brodo se occorre. Ora, fate
tutto un impasto, con la carne tritata, la pappa, l'uovo, il parmigiano, il
prosciutto e la lingua tagliata a dadini. Composto così il ripieno, tuffate
appena la braciuola di manzo nell'acqua, per poterla distender meglio,
battetela con la costola del coltello e spianatela con la lama. Collocateci il
ripieno in mezzo e formatene un rotolo che legherete stretto a guisa di salame
prima dalla parte lunga e poi per traverso. Infilatela nello spiede per la sua
lunghezza e arrostitela con olio e sale. Sentirete un arrosto delicato, il
quale potrà bastare per sei o sette persone.
538. COSTOLETTE DI VITELLA DI LATTE ALLA MILANESE
Tutti conoscete le costolette semplici alla milanese,
ma se le aggradite più saporite trattatele in questa guisa.
Dopo aver denudato l'osso della costola e scartatine i
ritagli, spianatele con la lama di un grosso coltello per allargarle e ridurle
sottili. Poi fate un battuto con prosciutto più grasso che magro, un poco di
prezzemolo, parmigiano grattato, l'odor dei tartufi, se li avete, e poco sale e
pepe. Con questo composto spalmate le costolette da una sola parte, mettetele
in infusione nell'uovo, poi panatele e cuocetele alla sauté col burro,
servendole con spicchi di limone. Per cinque costolette, se non sono molto
grosse, basteranno grammi 50 di prosciutto e due cucchiaiate colme di
parmigiano.
539. POLLO RIPIENO ARROSTO
Non è un ripieno da cucina fine, ma da famiglia. Per
un pollo di mediocre grandezza eccovi all'incirca la dose
degli ingredienti:
Due salsicce.
Il fegatino, la cresta e i bargigli del pollo
medesimo.
Otto o dieci marroni bene arrostiti.
Una pallina di tartufi o, in mancanza di questi,
alcuni pezzetti di funghi secchi.
L'odore di noce moscata.
Un uovo.
Se invece di un pollo fosse un tacchino, duplicate la
dose.
Cominciate col dare alle salsicce e alle rigaglie
mezza cottura nel burro, bagnandole con un po' di brodo se occorre; conditele
con poco sale e poco pepe a motivo delle salsicce. Levatele asciutte e
nell'umido che resta gettate una midolla di pane, per ottenere con un po' di
brodo due cucchiaiate di pappa soda. Spellate le salsicce, tritate con la
lunetta le rigaglie e i funghi rammolliti, e insieme colle bruciate, coll'uovo
e la pappa pestate ogni cosa ben fine in un mortaio, meno i tartufi che vanno
tagliati a fettine e lasciati crudi. Questo è il composto col quale riempirete
il pollo, il cui ripieno si lascierà tagliar meglio diaccio che caldo e sarà
anche più grato al gusto.
540. CAPPONE ARROSTO TARTUFATO
La cucina è estrosa, dicono i fiorentini, e sta bene
perché tutte le pietanze si possono condizionare in vari modi secondo l'estro
di chi le manipola; ma modificandole a piacere non si deve però mai perder di
vista il semplice, il delicato e il sapore gradevole, quindi tutta la questione
sta nel buon gusto di chi le prepara. Io nell'eseguire questo piatto costoso ho
cercato di attenermi ai precetti suddetti, lasciando la cura ad altri
d'indicare un modo migliore. Ammesso che un cappone col solo busto, cioè vuoto,
senza il collo e le zampe, ucciso il giorno innanzi, sia del peso di grammi 800
circa, lo riempirei nella maniera seguente:
Tartufi, neri o bianchi che siano poco importa, purché
odorosi, grammi 250.
Burro, grammi 80.
Marsala, cucchiaiate n. 5.
I tartufi, che terrete grossi come le noci,
sbucciateli leggermente e la buccia gettatela così cruda dentro al cappone; anche
qualche fettina di tartufo crudo si può inserire sotto la pelle. Mettete il
burro al fuoco e quando è sciolto buttateci i tartufi con la marsala, sale e
pepe per condimento e, a fuoco ardente, fateli bollire per due soli minuti
rimuovendoli sempre. Levati dalla cazzaruola, lasciateli diacciare finché
l'unto sia rappreso e poi versate il tutto nel cappone, per cucirlo tanto nella
parte inferiore che nell'anteriore dove è stato levato il collo.
Serbatelo in luogo fresco per cuocerlo dopo 24 ore
dandogli così tre giorni di frollatura.
Se si trattasse di un fagiano o di un tacchino
regolatevi in proporzione. Questi, d'inverno, è bene conservarli ripieni tre o
quattro giorni prima di cuocerli, anzi pel fagiano bisogna aspettare i primi
accenni della putrefazione, ché allora la carne acquista quel profumo speciale
che la distingue. Per la cottura avvolgeteli in un foglio e trattateli come la
gallina di Faraone n. 546.
541. POLLO AL DIAVOLO
Si chiama così perché si dovrebbe condire con pepe
forte di Caienna e servire con una salsa molto piccante, cosicché, a chi lo
mangia, nel sentirsi accendere la bocca, verrebbe la tentazione di mandare al
diavolo il pollo e chi l'ha cucinato. Io indicherò il modo seguente che è più
semplice e più da cristiano.
Prendete un galletto o un pollastro giovane, levategli
il collo e le zampe e, apertolo tutto sul davanti, schiacciatelo più che
potete. Lavatelo ed asciugatelo bene con un canovaccio, poi mettetelo in
gratella e quando comincia a rosolare, voltatelo, ungetelo col burro sciolto
oppure con olio mediante un pennello e conditelo con sale e pepe. Quando avrà
cominciato a prender colore la parte opposta, voltatelo e trattatelo nella
stessa maniera; e continuando ad ungerlo e condirlo a sufficienza, tenetelo sul
fuoco finché sia cotto.
Il pepe di Caienna si vende sotto forma di una polvere
rossa, che viene dall'Inghilterra in boccette di vetro.
542. POLLO IN PORCHETTA
Non è piatto signorile, ma da famiglia. Riempite un
pollo qualunque con fettine di prosciutto grasso e magro, larghe poco più di un
dito, aggiungete tre spicchi d'aglio interi, due ciocchettine di finocchio e
qualche chicco di pepe. Conditelo all'esterno con sale e pepe e cuocetelo in
cazzaruola con solo burro e fra due fuochi. Al tempo delle salsicce potete sostituire
queste al prosciutto introducendole spaccate per il lungo.
543. ARROSTO MORTO DI POLLO ALLA BOLOGNESE
Mettetelo al fuoco con olio, burro, una fetta di
prosciutto grasso e magro tritato fine, qualche pezzetto d'aglio e una
ciocchettina di ramerino. Quando sarà rosolato, aggiungete pomodori a pezzi
netti dai semi, oppure conserva sciolta nell'acqua. Cotto che sia levatelo e in
quell'intinto cuocete patate a tocchetti, indi rimettetelo al fuoco per
riscaldarlo.
544. POLLO ALLA RUDINÌ
Questo pollo, battezzato non si sa perché con tal
nome, riesce un piatto semplice, sano e di sapore delicato, perciò lo descrivo.
Prendete un pollastro giovane, levategli il collo, le punte delle ali, e le
zampe tagliatele a due dita dal ginocchio; poi fatene sei pezzi: due colle ali
a ciascuna delle quali lascerete unita la metà del petto, due colle coscie
compresavi l'anca e due col groppone toltane la parte anteriore. Levate le ossa
delle anche e la forcella del petto; i due pezzi del groppone schiacciateli.
Frullate un uovo con acqua quanta ne stia in un mezzo guscio d'uovo, metteteci
in infusione il pollo dopo averlo infarinato e conditelo col pepe e col sale a
buona misura lasciandovelo fino al momento di cuocerlo. Allora prendete i pezzi
a uno per uno, panateli e, messa la sauté o una teglia di rame al fuoco
con gr. 100 di burro, cuoceteli in questa maniera. Quando comincia a
soffriggere il burro collocateci per un momento i pezzi del pollo dalla parte
della pelle, poi rivoltateli, coprite la sauté con un coperchio e con
molto fuoco sopra e poco sotto, lasciateli per circa dieci minuti. Servitelo
con spicchi di limone e sentirete che sarà buono tanto caldo che freddo.
Per parlare un linguaggio da tutti compreso, la Sacra Scrittura
dice che Giosuè fermò il sole e non la terra e noi si fa lo stesso quando si
parla di polli, perché l'anca dovrebbesi chiamar coscia, la coscia gamba e la
gamba tarso: infatti l'anca ha un osso solo che corrisponde al femore degli
uomini, la coscia ne ha due che corrispondono alla tibia e alla fibula e la
zampa rappresenta il primo osso dei piede, cioè il tarso. Così le ali, per la
conformità delle ossa, corrispondono alle braccia che, dalla spalla al gomito
sono di un sol pezzo (omero) e di due pezzi (radio e ulna) nell'avambraccio; le
punte delle ali poi sono i primi accenni di una mano in via di formazione.
Pare, e se è vero potete accertarvene alla prova, che
il pollo cotto appena ucciso sia più tenero che quando è sopraggiunta la
rigidità cadaverica.
545. POLLO VESTITO
Non è piatto da farne gran caso, ma può recare
sorpresa in un pranzo famigliare.
Prendete il busto di un pollastro giovane, cioè privo
delle zampe, del collo e delle interiora; ungetelo tutto con burro diaccio,
spolverizzatelo di sale, e un pizzico di questo versatelo nell'interno. Poi,
colle ali piegate, lasciatelo con due larghe e sottili fette di prosciutto più
magro che grasso e copritelo con la pasta descritta nella ricetta n. 277,
tirata col matterello alla grossezza di uno scudo all'incirca. Doratela col
rosso d'uovo e cuocete il pollo così vestito a moderato calore nel forno o nel
forno da campagna. Servitelo come sta per essere aperto e trinciato sulla
tavola.
A me sembra migliore diaccio che caldo.
546. GALLINA DI FARAONE
Questo gallinaceo originario della Numidia, quindi
erroneamente chiamato gallina d'India, era presso gli antichi il simbolo
dell'amor fraterno. Meleagro, re di Calidone, essendo venuto a morte, le
sorelle lo piansero tanto che furono da Diana trasformate in galline di
Faraone. La Numida meleagris, che è la specie domestica, mezza
selvatica ancora, forastica ed irrequieta, partecipa della pernice sia nei
costumi che nel gusto della carne saporita e delicata. Povere bestie, tanto
belline! Si usa farle morire scannate, o, come alcuni vogliono, annegate
nell'acqua tenendovele sommerse a forza; crudeltà questa, come tante altre
inventate dalla ghiottoneria dell'uomo. La carne di questo volatile ha bisogno
di molta frollatura e, nell'inverno, può conservarsi pieno per cinque o sei
giorni almeno.
Il modo migliore di cucinare le galline di Faraone è
arrosto allo spiede. Ponete loro nell'interno una pallottola di burro impastata
nel sale, steccate il petto con lardone ed involtatele in un foglio spalmato di
burro diaccio spolverizzato di sale, che poi leverete a due terzi di cottura
per finire di cuocerle e di colorirle al fuoco, ungendole coll'olio e salandole
ancora.
Al modo istesso può cucinarsi un tacchinotto.
547. ANATRA DOMESTICA ARROSTO
Salatela nell'interno e fasciatele tutto il petto con
larghe e sottili fette di lardone tenute aderenti con lo spago.
Ungetela coll'olio e salatela a cottura quasi
completa. Il germano, ossia l'anatra selvatica, essendo naturalmente magra,
getta poco sugo e quindi meglio sarà di ungerla col burro.
548. OCA DOMESTICA
L'oca era già domestica ai tempi di Omero e i Romani
(388 anni av. C.) la tenevano in Campidoglio come animale sacro a Giunone.
L'oca domestica, in confronto delle specie selvatiche,
è cresciuta in volume, si è resa più feconda e pingue in modo da sostituire il
maiale presso gl’Israeliti. Come cibo io non l'ho molto in pratica, perché sul
mercato di Firenze non è in vendita e in Toscana poco o punto si usa la sua
carne; ma l'ho mangiata a lesso e mi piacque. Da essa sola si otterrebbe un
brodo troppo dolce; ma mista al manzo contribuisce a renderlo migliore se ben
digrassato.
Mi dicono che in umido e arrosto si può trattare come
l'anatra domestica e che il petto in gratella si usa steccarlo col prosciutto o
con le acciughe salate, per chi si fa un divieto di quello, e condito con olio,
pepe e sale.
In Germania si cuoce arrosto ripiena di mele, vivanda
codesta non confacente per noi Italiani, che non possiamo troppo scherzare coi
cibi grassi e pesanti allo stomaco, come rileverete dal seguente aneddoto.
Un mio contadino, uso a solennizzare la festa di
Sant’Antonio abate, volle un anno, meglio del consueto, riconoscerla
coll'imbandire un buon desinare a' suoi amici, non escludendo il fattore.
Tutto andò bene perché le cose furono fatte a dovere;
ma un contadino benestante, che era degli invitati, sentendosi il cuore
allargato, perché al bere e al mangiare aveva fatto del meglio suo, disse ai
commensali:
- Per San Giuseppe, che è il titolare della mia
parrocchia, vi voglio tutti a casa mia e in quel giorno s'ha da stare allegri.
- Fu accettato volentieri l'invito e nessuno mancò al convegno.
Giunta l'ora più desiderata per tali feste, che è
quella di sedersi a tavola, cominciò il bello, perocché si diede principio col
brodo che era d'oca; il fritto era d'oca, il lesso era d'oca, l'umido era
d'oca, e l'arrosto di che credete che fosse? era d'oca!! Non so quel che
avvenisse degli altri, ma il fattore verso sera cominciò a sentirsi qualche
cosa in corpo che non gli permetteva di cenare e la notte gli scoppiò dentro un
uragano tale di tuoni, vento, acqua e gragnuola che ad averlo visto il giorno
appresso, così sconfitto e abbattuto di spirito, faceva dubitare non fosse
divenuto anch'esso un'oca.
Sono rinomati i pasticci di Strasburgo di fegato d'oca
reso voluminoso mediante un trattamento speciale lungo e crudele, inflitto a
queste povere bestie.
A proposito di fegato d'oca me ne fu regalato uno,
proveniente dal veneto, che col suo abbondante grasso attaccato pesava grammi
600, il cuore compreso, e seguendo l'istruzione ricevuta, lo cucinai
semplicemente in questa maniera. Prima misi al fuoco il grasso, tagliato
all'ingrosso, poi il cuore a spicchi e per ultimo il fegato a grosse fette.
Condimento, sale e pepe soltanto; servito in tavola, scolato dal soverchio
unto, con spicchi di limone. Bisogna convenire che è un boccone molto delicato.
Vedi fegato d'oca n. 274.
549. TACCHINO
Il tacchino appartiene all'ordine dei Rasores, ossia
gallinacci, alla famiglia della Phasanidae e al genere Meleagris.
È originario dell'America settentrionale, estendendosi la sua dimora dal nord
ovest degli Stati Uniti allo stretto di Panama, ed ha il nome di pollo d'India
perché Colombo credendo di potersi aprire una via per le Indie orientali,
navigando a ponente, quelle terre da lui scoperte furono poi denominate Indie
occidentali. Pare accertato che gli Spagnuoli portassero quell'uccello in
Europa al principio nel 1500 e dicesi che i primi tacchini introdotti in
Francia furono pagati un luigi d'oro.
Siccome quest'animale si ciba di ogni sudiceria in cui
si abbatte, la sua carne, se è mal nutrito, acquista talvolta un gusto
nauseante, ma diviene ottima e saporosa se alimentato di granturco e di pastoni
caldi di crusca. Si può cucinare in tutti i modi: a lesso, in umido, in
gratella e arrosto; la carne della femmina è più gentile di quella del maschio.
Dicono che il brodo di questo volatile sia caloroso, il che può essere, ma è
molto saporito e si presta bene per le minestre di malfattini, riso con cavolo
o rapa, gran farro e farinata di granturco aggraziate e rese più gustose e
saporite con due salsicce sminuzzate dentro. La parte da preferirsi per lesso è
l'anteriore compresa l'ala, che è il pezzo più delicato. Per l'arrosto morto e
per l'arrosto allo spiede si prestano meglio i quarti di dietro. Trattandosi
del primo è bene steccarlo leggermente di aglio e ramerino e condirlo con un
battuto di carnesecca o lardone, un poco di burro, sale e pepe, sugo di
pomodoro o conserva sciolta nell'acqua, onde poter rosolare nel suo intinto
delle patate per contorno. Arrosto allo spiede si unge coll'olio e, piacendo,
si serve con un contorno di polenta fritta. Il petto poi, spianato alla
grossezza di un dito e condito qualche ora avanti a buona misura, con olio,
sale e pepe, è ottimo anche in gratella, anzi è un piatto gradito ai bevitori,
i quali vi aggiungono, conciati nella stessa maniera, il fegatino e il
ventriglio tagliuzzato perché prenda meglio il condimento.
Vi dirò per ultimo che un tacchinotto giovane del peso
di due chilogrammi all'incirca, cotto intero, allo spiede come la gallina di
Faraone, può fare eccellente figura in qualsiasi pranzo, specialmente se è
primiticcio.
550. PAVONE
Ora che nella serie degli arrosti vi ho nominati
alcuni volatili di origine esotica, mi accorgo di non avervi parlato del
pavone, Pavo cristatus, che mi lasciò ricordo di carne eccellente per
individui di giovane età.
Il più splendido, per lo sfarzo dei colori, fra gli
uccelli dell'ordine dei gallinacei, il pavone abita le foreste delle Indie
orientali e trovasi in stato selvatico a Guzerate nell'Indostan, a Cambogia
sulle coste del Malabar, nel regno di Siam e nell'isola di Giava. Quando
Alessandro il Macedone, invasa l'Asia minore, vide questi uccelli la prima
volta dicesi rimanesse così colpito dalla loro bellezza da interdire con severe
pene di ucciderli. Fu quel monarca che li introdusse in Grecia ove furono
oggetto di tale curiosità che tutti correvano a vederli; ma poscia, trasportati
a Roma sulla decadenza della repubblica, il primo a cibarsene fu Quinto
Ortensio l'oratore, emulo di Cicerone e, piaciuti assai, montarono in grande
stima dopo che Aufidio Lurcone insegnò la maniera d'ingrassarli, tenendone un
pollaio dal quale traeva una rendita di millecinquecento scudi la qual cosa non
è lontana dal vero se si vendevano a ragguaglio di cinque scudi l'uno.
551. MAIALE ARROSTITO NEL LATTE
Prendete un pezzo di maiale nella lombata del peso di grammi
500 circa, salatelo e mettetelo in cazzaruola con decilitri 2½ di latte.
Copritelo e fatelo bollire adagio, finché il latte sarà consumato; allora
aumentate il fuoco per rosolarlo e, ottenuto questo, scolate via il grasso e
levate il pezzo della carne per aggiungere in quei rimasugli di latte coagulato
un gocciolo di latte fresco. Mescolate, fategli alzare il bollore e servitevene
per ispalmare delle fettine di pane, appena arrostite, onde servirle per
contorno al maiale quando lo manderete caldo in tavola.
Tre decilitri di latte in tutto potranno bastare.
Cucinato così il maiale riesce di gusto delicato e non istucca.
552. PESCE DI MAIALE ARROSTO
Il pesce di maiale è quel muscolo bislungo posto ai
lati della spina dorsale, che a Firenze si chiama lombo di maiale. Colà
si usa distaccarlo insieme colla pietra e in cotesto modo si presta per un
arrosto eccellente. Tagliatelo a pezzetti e infilatelo nello spiede,
tramezzandolo di crostini e salvia come si usa cogli uccelli, e ungetelo, come
questi, coll'olio.
553. AGNELLO ALL’ORIENTALE
Dicono che la spalla d'agnello arrostita ed unta con
burro e latte, era e sia tuttavia una delle più ghiotte leccornie per gli
Orientali; perciò io l'ho provata e ho dovuto convenire che si ottiene tanto da
essa che dal cosciotto un arrosto allo spiede tenero e delicato. Trattandosi
del cosciotto, io lo preparerei in questa maniera, la quale mi sembra la più
adatta: steccatelo tutto col lardatoio di lardelli di lardone conditi con sale
e pepe, ungetelo con burro e latte o con latte soltanto e salatelo a mezza
cottura.
554. PICCIONE IN GRATELLA
La carne di piccione per la quantità grande di fibrina
e di albumina che contiene, è molto nutriente ed è prescritta alle persone
deboli per malattia o per altra qualunque cagione. Il vecchio Nicomaco nella Clizia
del Machiavelli, per trovarsi abile a una giostra amorosa, proponevasi di
mangiare uno pippíone grosso, arrosto così verdemezzo che sanguigni un poco.
Prendete un piccione grosso, ma giovine, dividetelo in
due parti per la sua lunghezza e stiacciatele bene colle mani. Poi mettetele a
soffriggere nell'olio per quattro o cinque minuti, tanto per assodarne la
carne. Conditelo così caldo con sale e pepe, e poi condizionatelo in questa
maniera: disfate al fuoco, senza farlo bollire, 40 grammi di burro; frullate un
uovo e mescolate l'uno e l'altro insieme. Intingete bene il piccione in questo
miscuglio e dopo qualche tempo involtatelo tutto nel pangrattato. Cuocetelo in
gratella a lento fuoco e servitelo con una salsa o con un contorno.
555. FEGATELLI IN CONSERVA
Tutti sanno fare i fegatelli di maiale conditi con
olio, pepe e sale, involtati nella rete e cotti in gratella, allo spiede o in
una teglia; ma molti non sapranno che sì possono conservare per qualche mese
come si pratica nella campagna Aretina e forse anche altrove, ponendoli dopo
cotti in un tegame e riempiendo questo di lardo strutto e a bollore. Si levano
poi via via che se ne vuoi far uso e si riscaldano. È una cosa che può far
comodo a chi sala il maiale in casa, perché si avranno allora meno frattaglie
da consumare.
Alcuni usano cuocere i fegatelli fra due foglie di
alloro, oppure, come in Toscana, di aggiungere al condimento un po' di seme di
finocchio; ma sono odori acuti che molti stomachi non tollerano, e tornano a
gola.
556. BISTECCA ALLA FIORENTINA
Da beef-steak parola inglese che vale costola
di bue, è derivato il nome della nostra bistecca, la quale non è altro che
una braciuola col suo osso, grossa un dito o un dito e mezzo, tagliata dalla lombata
di vitella. I macellari di Firenze chiamano vitella il sopranno non che le
altre bestie bovine di due anni all'incirca; ma, se potessero parlare, molte di
esse vi direbbero non soltanto che non sono più fanciulle, ma che hanno avuto
marito e qualche figliuolo.
L'uso di questo piatto eccellente, perché sano,
gustoso e ricostituente, non si è ancora generalizzato in Italia, forse a
motivo che in molte delle sue provincie si macellano quasi esclusivamente
bestie vecchie e da lavoro. In tal caso colà si servono del filetto, che è la
parte più tenera, ed impropriamente chiamano bistecca una rotella del medesimo
cotta in gratella.
Venendo dunque al merito della vera bistecca
fiorentina, mettetela in gratella a fuoco ardente di carbone, così naturale
come viene dalla bestia o tutt'al più lavandola e asciugandola; rivoltatela più
volte, conditela con sale e pepe quando è cotta, e mandatela in tavola con un
pezzetto di burro sopra. Non deve essere troppo cotta perché il suo bello è
che, tagliandola, getti abbondante sugo nel piatto. Se la salate prima di
cuocere, il fuoco la risecchisce, e se la condite avanti con olio o altro, come
molti usano, saprà di moccolaia e sarà nauseante.
557. BISTECCA NEL TEGAME
Se avete una grossa bistecca che, per esser di bestia
non tanto giovane o macellata di fresco, vi faccia dubitare della sua
morbidezza, invece di cuocerla in gratella, mettetela in un tegame con un
pezzetto di burro e un gocciolino d'olio, e regolandovi come al n. 527, datele
odore di aglio e ramerino. Aggiungete, se occorre, un gocciolo di brodo o
d'acqua, oppure sugo di pomodoro e servitela in tavola con patate a tocchetti
cotti nel suo intinto, e se questo non basta, aggiungete altro brodo, burro e
conserva di pomodoro.
558. ARNIONI ALLA PARIGINA
Prendete un rognone, ossia una pietra di vitella,
digrassatela, apritela e copritela d'acqua bollente. Quando l'acqua sarà
diacciata, asciugatela bene con un canovaccio ed infilatela per lungo e per
traverso con degli stecchi puliti onde stia aperta (a Parigi si usano spilloni
di argento), conditela con grammi 30 di burro liquefatto, sale e pepe, e
lasciatela così preparata per un'ora o due.
Dato che la pietra sia del peso di 600 o 700 grammi,
prendete altri 30 grammi di burro ed un'acciuga grossa o due piccole,
nettatele, tritatele e schiacciatele colla lama di un coltello insieme col
burro e formatene una pallottola. Cuocete la pietra in gratella, ma non troppo
onde resti tenera, ponetela in un vassoio, spalmatela così bollente colla
pallottola di burro e d'acciuga e mandatela in tavola.