ARTUSI LIBRO 11
762. GELATO DI CILIEGE VISCIOLE
Ciliege visciole, chilogrammi 1.
Zucchero, grammi 250.
Acqua, decilitri 2.
Odore di cannella.
Levate i noccioli a grammi 150 delle dette ciliege
senza guastarle troppo e mettetele al fuoco con grammi 50 del detto zucchero e
con un pezzetto di cannella intera, che poi getterete via. Quando saranno
siroppate, cioè quando avranno perduto il crudo e le vedrete aggrinzite,
mettetele da parte. Guastate colle mani i restanti grammi 850 di ciliege,
pestate nel mortaio un pugnello de' loro noccioli e rimetteteli tramezzo.
Passate poche per volta da un canovaccio, strizzando forte, queste ciliege
disfatte, per estrarne il sugo, e gli scarti che restano metteteli al fuoco per
dissugarli coi suddetti due decilitri d'acqua, fateli bollire 4 o 5 minuti, poi
passateli dallo stesso canovaccio ed il liquido estratto unitelo al precedente.
Mettete tutto questo sugo al fuoco con due prese di cannella in polvere e
quando sarà per alzare il bollore versate i restanti 200 grammi di zucchero,
mescolate, fatelo bollire per due minuti e passatelo dallo staccio, Mettete il
sugo passato nella sorbettiera e quando sarà ben gelato mescolategli tramezzo
le ciliege siroppate in modo che vengano sparse egualmente, servite il gelato
in bicchierini e vedrete che per la sua bontà sarà da tutti gradito.
Questa dose basterà per otto persone.
763. GELATO DI ARANCI
Aranci grossi, n. 4.
Limoni di giardino, n. l.
Acqua, decilitri 6.
Zucchero, grammi 300.
Strizzate gli aranci e il limone e passatene il sugo.
Fate bollire lo zucchero nell'acqua per 10 minuti, versatelo nel sugo, passate
il composto dallo staccio un'altra volta e ponetelo nella sorbettiera.
Servitelo in bicchierini a calice colla colmatura, o tutto in un pezzo.
Questa dose basterà per otto persone.
764. GELATO DI RIBES
Ve lo do, nel suo genere, per un gelato senza
eccezione.
Ribes, grammi 500.
Zucchero, grammi 300.
Ciliege more,
grammi 150.
Acqua, mezzo litro.
Un grosso limone di giardino.
Disfate colle mani il ribes e le ciliege, aggiungete il
sugo del limone e passate il tutto dallo staccio spremendo bene. Fate bollire
lo zucchero nell'acqua per 10 minuti a cazzaruola scoperta per ottenere il
siroppo, e quando sarà diaccio mescolatelo nel composto descritto e versatelo
nella sorbettiera. Potrà bastare per sette od otto persone, servendolo in
bicchierini. Le ciliege, oltre al sapore loro speciale, servono a dare al
gelato più bel colore.
765. GELATO DI TUTTI I FRUTTI
Di tutti i frutti per modo di dire, ma bastano tre o quattro qualità, come vedete nella
seguente ricetta, sufficiente per quattro persone.
Zucchero, grammi 200.
Albicocche ben mature, pesate col nocciolo, grammi
100.
Lampone, grammi 100.
Ribes, grammi 100.
Cedro candito, grammi 20.
Acqua, mezzo litro.
Fate bollire lo zucchero nell'acqua per dieci minuti,
uniteci dopo la polpa delle dette frutta passata dallo staccio, poi il cedro
candito tagliato a pezzettini.
Invece delle albicocche possono servire le pesche
burrone, e al ribes si possono sostituire le fragole.
766. GELATO DI BANANE
Il banano, musa paradisiaca di Linneo, nel suo
paese nativo è volgarmente chiamato Fico di Adamo, o Albero del
paradiso terrestre perché il volgo crede che quello fosse il famoso frutto proibito
e che le sue ampie foglie abbiano servito a coprire la nudità di Adamo ed Eva
dopo il peccato della disubbidienza.
Nasce nelle due Indie ed il suo frutto è in forma di
un grosso baccello simile, in apparenza, ad un cetriuolo di buccia verde, ma liscia,
triangolare e falcata. La sua polpa interna è di sapore delicato, ma quando non
è giunta ancora a perfetta maturità ha un'azione alquanto astringente; per
farne gelati scegliete frutti di buccia giallognola, che allora sono maturi.
Eccovi le dosi di un gelato che ha servito per sei
persone.
Banane, n. 4, che sono riuscite, nette dal guscio,
grammi 240.
Zucchero bianco, grammi 200.
Un limone di giardino.
Acqua, mezzo litro.
Passate la polpa delle banane dallo staccio,
aggiungete a questa il sugo del limone, fate bollire lo zucchero nell'acqua per
cinque minuti a cazzaruola scoperta, mescolate ogni cosa insieme e versate il
composto nella sorbettiera, non facendo economia di ghiaccio e sale.
767. GELATO DI PISTACCHI
Latte, decilitri 8.
Zucchero, grammi 150.
Pistacchi, grammi 50.
Rossi d'uovo, n. 6.
I pistacchi sbucciateli coll'acqua calda e pestateli
finissimi con una cucchiaiata del detto zucchero, poi metteteli in una
cazzaruola coi rossi d'uovo e lo zucchero, rimestando il tutto ben bene.
Aggiungete il latte e ponete il composto al fuoco girando il mestolo, e quando
sarà condensato come la crema versatelo diaccio nella sorbettiera. Questa dose
potrà bastare per otto persone. Certuni usano di abbrustolire i pistacchi; io
non lo approvo perché perdono il loro gusto particolare.
Mi dicono che, per rinforzare a questo gelato il color
verde dei pistacchi, si usa di unirvi un poco di bietola lessata e passata
dallo staccio.
768. GELATO DI TORRONE
Latte, un litro.
Zucchero, grammi 250.
Zucca rossa candita, grammi 40.
Cedro candito, grammi 30-
Mandorle, grammi 30.
Pistacchi, grammi 20.
Rossi d'uovo, n. 4.
Odore di vainiglia.
Fate una crema col latte, lo zucchero e i rossi
d'uovo, dandole l'odore della vainiglia, e versatela nella sorbettiera. Quando sarà
gelata mescolateci dentro gl'ingredienti suddetti. I pistacchi e le mandorle
sbucciateli nell'acqua calda; quelli divideteli in tre parti e queste tritatele
alla grossezza di una veccia e tostatele. Il candito tagliatelo a laminette e
la zucca a dadi grossetti, che essendo rossi faranno più bella mostra.
Se il latte è buono, facendolo bollire per mezz'ora
collo zucchero dentro, si può far senza dei rossi d'uovo, ma il composto verrà
allora di meno sapore.
Le mandorle in questo e in simili casi vengono meglio
tostate nella seguente maniera. Spellate e tritate che sieno mettetele al fuoco
con una cucchiaiata del detto zucchero e un gocciolo d'acqua, rimestatele
continuamente e quando avranno preso colore fermatele con un altro gocciolo di
acqua; versatele quindi in un colino sopra lo zucchero rimasto e servitevene.
769. GELATO DI MARRONI
È un gelato ordinario; ma piace, come per lo più piace
a tutti il sapore della castagna, e perciò lo descrivo.
Marroni, grammi 200.
Zucchero, grammi 150.
Latte, mezzo litro.
Odore di vainiglia.
Mettete a bollire i marroni nell'acqua come per farne
delle ballotte. Ben cotti, nettateli dalle due buccie e passate la polpa dallo
staccio. Questa mettetela al fuoco col latte e lo zucchero e fatela bollire
adagio e a cazzaruola scoperta per un quarto d'ora. Date al composto l'odore
collo zucchero vanigliato e versatelo nella sorbettiera. Mandatelo in tavola
tutto in un pezzo e se dovesse servire per nove o dieci persone raddoppiate la
dose.
770. PONCE ALLA ROMANA
Per sei persone.
Questa specie di gelato è di uso recente ne' grandi
pranzi e si suole servire avanti all'arrosto perché aiuta la digestione e
predispone lo stomaco a ricevere senza nausea il restante dei cibi.
Zucchero, grammi 450.
Acqua, decilitri 5.
Aranci, n. 2.
Limoni, n. 2.
Chiare d'uovo, n. 2.
Rhum, un bicchierino.
Odore di vainiglia.
Fate bollire per cinque o sei minuti grammi 250 del
detto zucchero in 4 decilitri della detta acqua, con un poco di scorza di
limone e di arancio dentro. Tolto dal fuoco, strizzate in questo siroppo il
sugo degli aranci e dei limoni, passatelo da un tovagliuolo e versatelo nella
sorbettiera per gelarlo.
Mettete al fuoco i restanti grammi 200 di zucchero nel
decilitro d'acqua rimasto, dategli l'odore della vainiglia, e fatelo bollire
fino al punto che versandone una goccia in un piatto resti rotonda, e presa fra
le dita faccia le fila; ma prima avrete montate ben ferme le due chiare, sulle
quali verserete lo zucchero così a bollore, battendole, per formare una pasta unita
che getterete, quando sarà diaccia, fra il gelato già pronto, mescolando bene;
sul punto di servirlo aggiungete il rhum e mandatelo in tavola nei bicchierini.
771. SPUMONE DI THE
Panna montata, come quella che preparano i lattai,
grammi 250.
Acqua, grammi 200.
Zucchero, grammi 100.
The del più buono, grammi 15.
Rossi d'uovo, n. 3.
Colla di pesce, fogli 3.
Versate l'acqua bollente sul the e tenetelo così
infuso, in istato quasi di ebollizione, per 40 minuti. Poi passatelo da un
pannolino, strizzando forte per estrarne tutto il sapore, e vedrete che
apparirà nero come il caffè.
Con questo liquido, coi rossi d'uovo e con lo zucchero
farete una crema come quella del n. 753, e regolandovi nella stessa guisa,
aggiungerete la colla, poi unirete la crema alla panna montata mescolando
adagio e, versato il composto in una forma da gelati, la porrete fra il
ghiaccio e il sale come il biscuít.
Potrà bastare per otto persone.
772. MACEDONIA
Ben venga la signora Macedonia, che io
chiamerei con nome paesano Miscellanea di frutta in gelo, la quale sarà
gradita specialmente negl'infuocati mesi di luglio e di agosto.
Per far questo dolce, se non potete servirvi di uno
stampo da gelati, occorre un vaso di bandone in forma di gamella o di tegamino,
col suo coperchio che chiuda ermeticamente.
Prendete molte varietà di frutta della stagione,
matura e di buona qualità, e cioè: ribes, fragole, lampone, ciliege, susine,
albicocche, una pesca, una pera e, cominciando dalle ciliege, tutte le dette
frutta sbucciatele e tagliatele a fettine piccole come i semi di zucca
all'incirca, gettando via i torsoli e i noccioli. Del ribes pochissimo perché
ha semi troppo grossi e duri; invece sarebbe bene unirvi un po' di popone
odoroso.
Preparate le frutta in codesto modo, pesatele e,
ammesso che sieno in tutto grammi 500, spargeteci sopra grammi 100 di zucchero
a velo e il sugo di un limone di giardino. Mescolatele e lasciatele per
mezz'ora in riposo.
Ponete un foglio di carta in fondo al detto vaso di
bandone, riempitelo distendendovi le frutta pigiate alquanto, chiudetelo e
collocatelo in un bigonciolo framezzo a ghiaccio e sale, che vi resti tutto
coperto per diverse ore. Se non si sforma naturalmente bagnatelo con acqua
calda e servitelo che vedrete farà bella mostra di sé come un pezzo duro gelato
e marmorizzato.
Questa è una dose per quattro o cinque persone.
773. GELATO DI LATTE DI MANDORLE
Descrivo per voi, signore di gusto delicato e fine, il
seguente gelato, nella persuasione che lo aggradirete molto; ed avendo spesse
volte rivolto a voi il pensiero nel compor questi piatti, onde interpretare e
sodisfare anche il gusto vostro, così non posso distaccarmi da voi senza
augurarvi che conserviate a lungo gl'invidiabili pregi della florida salute e
della bellezza.
Zucchero, grammi 200.
Mandorle dolci con 4 o 5 amare, grammi 150.
Acqua, decilitri 8.
Panna, decilitri 2.
Odore di acqua di fior d'arancio o di coriandoli.
Fate bollire lo zucchero nell'acqua per dieci minuti
con entro i coriandoli, come nel Latte alla portoghese, n. 693, se per l'odore
vi servite di essi. Sbucciate le mandorle, pestatele finissime nel mortaio
diluendole con qualche cucchiaiata del siroppo ottenuto e mescolatele al
medesimo. Poi passatele da un pannolino rado strizzando bene onde estrarre dalle
mandorle tutta la sostanza possibile, ripetendo più volte l'operazione del
mortaio, se occorre. Unite la panna al liquido spremuto, gelatelo nella
sorbettiera e quando sarà ben sodo servitelo in bicchierini.
Questa dose potrà bastare per nove o dieci persone.
774. ZORAMA
Se vi piacesse di fare un pezzo in gelo, marmorizzato
di bianco e nero, eccovi la maniera:
Primieramente mettete in molle nell'acqua fresca tre
fogli di colla di pesce e frattanto preparate una crema con:
Zucchero, grammi 100.
Cioccolata in polvere, grammi 80.
Rossi d'uovo, n. 3.
Latte, decilitri 3
Diaccia che sia uniteci le tre chiare montate e dopo
grammi 150 di panna montata, come quella che preparano i lattai, mescolando in modo
che il bianco di questa apparisca sparso qua e là. Poi sciogliete al fuoco in
un gocciolo d'acqua i detti tre fogli di colla di pesce e questo liquido così
caldo spargetelo sul composto mescolando. Indi versatelo nello stampo da gelati
o in altro vaso bagnato di rosolio e chiuso ermeticamente, tenendolo per tre o
quattro ore contornato e coperto con molto ghiaccio frammisto a sale.
Può bastare per otto persone.
775. CAFFÈ-LATTE GELATO
Nei grandi calori estivi si può gustar con piacere un
caffè col latte condensato a granita, nelle proporzioni seguenti:
Latte, un litro.
Caffè, mezzo litro.
Zucchero, grammi 300 che, messo nel latte, potete
sciogliere al fuoco.
Versate il composto nella sorbettiera, come per i
gelati in genere, e servitelo, quando sarà assodato, in tazze o bicchierini.
COSE DIVERSE
776. CAFFÈ
V'è chi ritiene il caffè originario della Persia, chi
dell'Etiopia e chi dell'Arabia Felice; ma di qualunque posto sia, è certamente
una pianta orientale sotto forma di un arboscello sempre verde il cui fusto si
innalza dai 4 ai 5 metri e non acquista per ordinario più di 5 ad 8 centimetri
di diametro. Il miglior caffè è pur sempre quello di Moka, il che potrebbe
convalidare l'opinione esser questo veramente il suo luogo nativo. Si dice che
un prete musulmano, a Yemen, avendo osservato che quelle capre le quali
mangiavano le bacche di una pianta di quelle contrade, erano più festevoli e
più vivaci delle altre, ne abbrustolì i semi, li macinò e fattane un'infusione
scoprì il caffè tal quale noi lo beviamo.
Questa preziosa bibita che diffonde per tutto il corpo
un giocondo eccitamento, fu chiamata la bevanda intellettuale, l'amica dei
letterati, degli scienziati e dei poeti perché, scuotendo i nervi,
rischiara le idee, fa l'immaginazione più viva e più rapido il pensiero.
La bontà del caffè mal si conosce senza provarlo, e il
color verde, che molti apprezzano, spesso gli vien dato artificialmente.
La tostatura merita un'attenzione speciale poiché,
prescindendo dalla qualità del caffè, dipende dalla medesima la più o meno
buona riuscita della bibita. Meglio è dargli il calore gradatamente e perciò è
da preferirsi la legna al carbone, perché meglio si può regolare. Quando il
caffè comincia a crepitare e far fumo, scuotete spesso il tostino e abbiate cura
di levarlo appena ha preso il color castagno-bruno e avanti che emetta l'olio;
quindi non disapprovo l'uso di Firenze, nella qual città, per arrestarne subito
la combustione, lo si distende all'aria; e pessima giudico l'usanza di
chiuderlo tosto fra due piatti, perché in codesto modo butta l'olio essenziale
e l'aroma si sperde. Il caffè perde nella tostatura il 20 per cento del suo
peso, cosicché gr. 500 devono tornare gr. 400.
Come diverse qualità di carne fanno il brodo migliore,
così da diverse qualità di caffè, tostate separatamente, si ottiene un aroma
più grato. A me sembra di ottenere una bibita gratissima con gr. 250 di
Portorico, 100 di San Domingo e 150 di Moka. Anche gr. 300 di Portorico con 200
di moka danno un ottimo resultato. Con gr. 15 di questa polvere si può fare una
tazza di caffè abbondante; ma quando si è in parecchi, possono bastare gr. 10 a
testa per una piccola tazza usuale. Tostatene poco per volta e conservatelo in
vaso di metallo ben chiuso, macinando via via quel tanto che solo abbisogna,
perché perde facilmente il profumo.
Coloro a cui l'uso del caffè cagiona troppo
eccitamento ed insonnia, faranno bene ad astenersene od usarne con moderazione;
possono anche correggerne l'efficacia con un po' di cicoria od orzo tostato.
L'uso costante potrebbe neutralizzare l'effetto, ma potrebbe anche nuocere,
essendovi de' temperamenti tanto eccitabili da non essere correggibili, e a
questo proposito un medico mi raccontava di un campagnuolo il quale, quelle
rare volte che prendeva un caffè, era colto da un'indisposizione che presentava
tutti i sintomi di un avvelenamento. Ai ragazzi poi l'uso del caffè sarebbe da
vietarsi assolutamente.
Il caffè esercita un'azione meno eccitante ne' luoghi
umidi e paludosi ed è forse per questa ragione che i paesi ove se ne fa maggior
consumo in Europa sono il Belgio e l'Olanda. In Oriente, ove si usa di ridurlo
in polvere finissima e farlo all'antica per beverlo torbo, il bricco, nelle
case private, è sempre sul focolare.
Su quanto dice il prof. Mantegazza, cioè che il caffè non
favorisce in modo alcuno la digestione, io credo che sia necessario di fare
una distinzione. Egli forse dirà il vero per coloro a cui il caffè non eccita
punto il sistema nervoso; ma quelli a cui lo eccita e porta la sua azione anche
sul nervo pneumogastrico, è un fatto innegabile che digeriscono meglio, e l'uso
invalso di prendere una tazza di buon caffè dopo un lauto desinare n'è la
conferma. Preso poi la mattina a digiuno pare che sbarazzi lo stomaco dai
residui di una imperfetta digestione e lo predisponga a una colazione più
appetitosa. Io, per esempio, quando mi sento qualche imbarazzo allo stomaco non
trovo di meglio, per ismaltirlo, che andar bevendo del caffè leggermente
indolcito ed allungato coll'acqua, astenendomi dalla colazione.
E se noiosa ipocondria t'opprime
O troppo intorno alle vezzose membra
Adipe cresce, de' tuoi labbri onora
La nettarea bevanda ove abbronzato
Fuma ed arde il legume a te d'Aleppo
Giunto, e da Moka che di mille navi
Popolata mai sempre insuperbisce.
Venezia pe' suoi rapporti commerciali in Oriente fu la
prima a far uso del caffè in Italia, forse fin dal secolo XVI; ma le prime
botteghe da caffè furono colà aperte nel 1645; indi a Londra e poco dopo a
Parigi ove una libbra di caffè si pagava fino a 40 scudi.
L'uso si andò poi via via generalizzando e crescendo
fino all'immenso consumo che se ne fa oggigiorno; ma due secoli addietro il
Redi nel suo Ditirambo cantava:
Beverei prima il veleno
Che un bicchier che fosse pieno
Dell'amaro e reo caffè.
e un secolo fa, pare che l'uso in Italia ne fosse
tuttora ristretto se a Firenze non si chiamava ancora caffettiere, ma
acquacedrataio colui che vendeva cioccolata, caffè e altre bibite.
Goldoni, nella commedia La sposa persiana, dice
per bocca di Curcuma, schiava:
Ecco il caffè, signore, caffè in Arabia nato,
E dalle carovane in Ispaan portato.
L'arabo certamente sempre è il caffè migliore;
Mentre spunta da un lato, mette dall'altro il fiore.
Nasce in pingue terreno, vuol ombra, o poco sole.
Piantare ogni tre anni l'arboscel si suole.
Il frutto non è vero, ch'esser debba piccino,
Anzi dev'esser grosso, basta sia verdolino,
Usarlo indi conviene di fresco macinato,
in luogo caldo e asciutto, con gelosia guardato.
... A farlo vi vuol poco;
Mettervi la sua dose, e non versarlo al fuoco.
Far sollevar la spuma, poi abbassarla a un tratto
Sei, sette volte almeno, il caffè presto è fatto.
777. THE
La coltivazione del the è quasi esclusiva della China
e del Giappone ed è per quegli Stati uno de' principali prodotti di
esportazione. I the di Giava, delle Indie e del Brasile sono giudicati di
qualità assai inferiore.
Le sue foglioline, accartocciate e disseccate per
esser messe in commercio, sono il prodotto di un arbusto ramoso e sempre verde
che non si eleva in altezza più di due metri. La raccolta della foglia ha luogo
tre volte all'anno: la prima nell'aprile, la seconda al principio dell'estate e
la terza verso la metà dell'autunno.
Nella prima raccolta le foglie, essendo piccole e
delicatissime, perché spuntate da pochi giorni, danno il the imperiale, che
rimane sul luogo per uso dei grandi dell'impero; la terza raccolta in cui le
foglie hanno preso il massimo sviluppo, riesce di qualità inferiore.
Tutto il the che circola in commercio si divide in due
grandi categorie: the verde e the nero. Queste poi si suddividono in molte
specie: ma le più usitate sono il the perla, il souchong, e il pekoe
a coda bianca il cui odore è il più aromatico e il più grato. Il the verde
essendo ottenuto con un'essiccazione più rapida che impedisce la fermentazione,
è più ricco di olio essenziale, quindi più eccitante e però è bene astenersene
o usarlo in piccola dose frammisto al nero.
Nella China l'uso del the risale a molti secoli avanti
l'êra cristiana; ma in Europa fu introdotto dalla Compagnia olandese delle
Indie orientali sul principio del secolo XVI; Dumas padre dice che fu nel 1666
sotto il regno di Luigi XIV che il the, dopo una opposizione non meno viva di
quella sostenuta dal caffè, s'introdusse in Francia.
Il the si fa per infusione e ritiensi che meglio
riesca nelle theiere, di metallo inglese. Un cucchiaino colmo è dose più
che sufficiente per una tazza comune. Gettatelo nella theiera, che
avrete prima riscaldata con acqua a bollore e versategli sopra tant'acqua
bollente che lo ricopra soltanto e dopo cinque o sei minuti, che bastano per
sviluppare la foglia, versate il resto dell'acqua in ebollizione, mescolate e
dopo due o tre minuti l'infusione è fatta. Se la lasciate lì troppo, diventa
scura e di sapore aspretto perché si dà tempo a sciogliere l'acido tannico
delle foglie che è un astringente; però, se durante la prima operazione avete
modo di tener la theiera sopra il vapore dell'acqua bollente, estrarrete
dal the maggior profumo, ma se paresse troppo forte si può allungare con acqua
bollente.
L'uso del the in alcune provincie d'Italia, specie ne'
piccoli paesi, è raro tuttora. Non sono molti anni che io mandai un giovane mio
servitore ai bagni della Porretta per vedere se imparava qualche cosa
dell'abile maestria dei cuochi bolognesi; e se è vero quanto egli mi riferì,
capitarono là alcuni forestieri che chiesero il the; ma di tutto essendovi
fuorché di questo, fu subito ordinato a Bologna. Il the venne, ma i forestieri
si lagnarono che l'infusione non sapeva di nulla. O indovinate il perché? Si
faceva soltanto passar l'acqua bollente attraverso le foglie che si ponevano in
un colino. Il giovine, che tante volte lo aveva fatto in casa mia, corresse
l'errore e allora fu trovato come doveva essere.
Anche il the eccita i nervi e cagiona l'insonnia; ma
la sua azione, nella maggior parte de' casi, è meno efficace di quella del
caffè e direi anche meno poetica ne' suoi effetti perché a me sembra che il the
deprima e il caffè esalti. Però la foglia chinese ha questo di vantaggio sopra
la grana d'Aleppo, e cioè, che esercitando un'azione aperitiva sulla pelle, fa
sopportare meglio il freddo nel rigido inverno; per questo, chi può fare a meno
di pasteggiar col vino nella colazione alla forchetta, troverebbe forse nel the,
solo o col latte, una bevanda delle più deliziose. Io uso un the misto: metà
Souchong e metà Pekoe.
778. CIOCCOLATA
Non è facil cosa il contentar chiunque e meno che mai
in questa materia, tanti e sì vari essendo i gusti delle persone. Non avrei potuto
supporre che un signore avesse notato in questo mio libro una lacuna che il
tormentava. “Come si fa - diceva egli - a spender tante parole in lode del
caffè e del the e non rammentare il cibo degli Dei, la cioccolata
che è la mia passione, la mia bibita prediletta?”. Dirò a quel signore che
dapprima non ne avevo parlato perché, se avessi dovuto raccontarne la storia e
le adulterazioni dei fabbricanti nel manipolarla, troppo mi sarei dilungato e
perché tutti, più o men bene, una cioccolata a bere la sanno fare.
L'albero del cacao (Theobroma caccao) cresce
naturalmente nell'America meridionale, in particolare al Messico ove si
utilizzavano i suoi frutti, come cibo e come bevanda, da tempo immemorabile ed
ove fu conosciuto dagli Spagnuoli la prima volta che vi approdarono.
Le due qualità più stimate sono il cacao Caracca e il
Marignone che mescolate insieme nelle debite proporzioni, dànno una cioccolata
migliore. Per garantirsi sulla qualità non c'è che sfuggire l'infimo prezzo e
dare la preferenza ai fabbricanti più accreditati. Per una tazza abbondante non
occorrono meno di grammi 60 di cioccolata, sciolta in due decilitri di acqua;
ma possono bastare grammi 50 se la preferite leggera, e portar la dose fino a
grammi 80 se la desiderate molto consistente.
Gettatela a pezzetti nella cioccolatiera con l'acqua
suddetta e quando comincia ad esser calda rimuovetela onde non si attacchi e si
sciolga bene. Appena alzato il bollore ritiratela dal fuoco e per cinque minuti
frullatela. Poi fate che alzi di nuovo il bollore e servitela. Come alimento
nervoso eccita anch'essa l'intelligenza ed aumenta la sensibilità; ma, ricca
d'albumina e di grasso (burro di cacao), è molto nutritiva, esercita un'azione
afrodisiaca e non è di tanto facile digestione, perciò si usa aromatizzarla con
cannella o vainiglia. Chi ha lo stomaco da poterla tollerare “la cioccolata
conviene - dice il professor Mantegazza - ai vecchi, ai giovani deboli e
sparuti, alle persone prostrate da lunghe malattie e da abusi della vita”. Per
chi lavora assai col cervello e non può stancare il ventricolo di buon mattino
con una succolenta colazione, il cacao offre un eccellente cibo mattutino.
779. FRUTTA IN GUAZZO
A chi piace le frutta in guazzo, può riuscire gradito
il seguente modo di confezionarle.
Cominciate dalle prime che appariscono in primavera,
cioè: dalle fragole, dal ribes e dai lamponi, e ponetene in un vaso 50 o 100
grammi per sorta; copritele con la metà del loro peso, di zucchero e tanta
acquavite o cognac che le sommerga. Poi proseguite con le ciliege, le susine,
le albicocche, le pesche, tutte private del nocciolo e, all'infuori delle
ciliege, tagliatele a lettine, aggiungendo sempre in proporzione zucchero ed
acquavite.
Potete mettervi anche uva spina, uva salamanna e
qualche pera gentile; ma poi assaggiate il liquido per aggiungere zucchero od
acquavite, a tenore del vostro gusto.
Formato il vaso, lasciatelo in riposo per qualche mese
prima di servirvene.
780. PESCHE NELLO SPIRITO
Pesche cotogne, non troppo mature, chilogrammi 1.
Zucchero bianco, grammi 440.
Acqua, un litro.
Cannella intera, un pezzo lungo un dito.
Alcuni chiodi di garofano.
Spirito di vino quanto basta.
Saprete che la pesca cotogna è quella rosso-giallo o
semplicemente giallastra, con la polpa attaccata al nocciolo.
Strofinatele con un canovaccio per levar loro la
lanugine e bucatele in cinque o sei punti con uno stecchino. Fate bollire per
venti minuti lo zucchero nell'acqua a cazzaruola scoperta e poi gettateci le
pesche intere, rimovendole spesso se il siroppo non le ricopre, e quando
avranno bollito cinque minuti, contando dal momento che hanno ripreso il
bollore, levatele asciutte.
Allorché le pesche e il siroppo saranno diacci, o
meglio il giorno appresso, collocatele in un vaso di cristallo, oppure in uno
di terra invetriato e nuovo, versateci sopra il siroppo e tanto spirito di vino
o cognac che le sommerga e le dosi a giusta misura. Aggiungete gli aromi
indicati e procurate che restino sempre coperte dal liquido, versandone,
occorrendo, dell'altro in appresso.
Tenete chiuso il vaso ermeticamente e cominciate a
mangiarle non prima che sia trascorso un mese.
781. PESCHE IN GHIACCIO
È l'unica ricetta di questa raccolta che non ho
provato perché, quando una signora inglese venne spontaneamente ad offrirmela, la
stagione delle pesche era passata e il tempo incalzava per la presente
ristampa. La signora me la raccomandò assicurandomi che era molto gradita ne'
suoi paesi e perciò azzardo di pubblicarla.
Si prendono pesche spicche, mature e sane, si gettano
due alla volta, per un minuto, nell'acqua bollente e, tolte dall'acqua, si
sbucciano senza toccar la polpa. Poi s'involtano molto e bene nello zucchero
bianco in polvere e si collocano in un bolo, ossia in un vaso fondo e decente;
indi si prendono tanti quadretti di zucchero quante sono le pesche, si
strofinano sulla buccia di un limone di giardino maturo, finché ogni quadretto
siasi impregnato dell'essenza del limone e si nascondono fra le pesche. Si
lasciano così accomodate per due ore almeno (il più non guasta) e prima di
portare il vaso in tavola si tiene tutto chiuso e coperto fra molto ghiaccio
per due o tre ore. Ritornata la stagione delle pesche non ho mancato di mettere
in prova questa ricetta e posso dirvi subito che essa ha del merito. Io mi sono
servito di un vaso di metallo, di zucchero a velo a buona misura ed ho sparso
sale fra il ghiaccio.
782. CILIEGE VISCIOLE IN GUAZZO
Queste ciliege, così conciate, non hanno bisogno di
spirito, che lo fanno da sé.
Ciliege visciole, chilogrammi l.
Zucchero bianco, grammi 300.
Un pezzetto di cannella.
Dalle suddette ciliege separatene grammi 200 delle più
brutte o guaste, estraetene il sugo e passatelo. Le altre, levato il gambo,
mettetele a strati in un vaso di cristallo: uno di esse e uno di zucchero, poi
versateci sopra il detto sugo. Levate le anime a una parte dei noccioli delle
ciliege disfatte ed anche queste e la cannella gettatele nel vaso, chiudetelo e
non lo muovete per due mesi almeno. Vedrete che lo zucchero a po' per volta si
scioglierà e le ciliege dapprima staranno a galla del liquido, poi questo
convertendosi in alcool le ciliege cadono al fondo e allora sono mangiabili e
buone.
783. RIBES ALLA FRANCESE
Preparate una soluzione leggiera di gomma arabica in
polvere sciolta nell'acqua. Prendete su colle dita il ribes crudo nei suoi
grappolini, tuffateli uno alla volta nella soluzione e spolverizzateli di
zucchero cristallino in polvere, ma non a velo. Disposti poi in un piatto, quel
fondo rosso brillantato farà di sé bella mostra fra le frutta di un pranzo e
sarà molto gustato dalle signore.
Potrete anche tramezzare il ribes rosso col bianco.
784. PONCE ALLA PARIGINA
Questo è un ponce corroborante che può venire
opportuno quando, fra un pasto e l'altro, vi sentiste mancar lo stomaco.
Prendete una tazza del contenuto di due decilitri
circa; frullateci dentro un rosso d'uovo con due cucchiaini di zucchero durando
finché sia divenuto quasi bianco. Aggiungete allora, dosandolo a piacere, due o
tre cucchiaiate di cognac, di rhum o di altro liquore che più vi gusti e
riempite la tazza di acqua bollente, versata poco per volta continuando a
frullare per fargli fare la spuma.
785. MANDORLE TOSTATE
Mandorle dolci, grammi 200.
Zucchero, grammi 200.
Le mandorle strofinatele con un canovaccio, poi
mettete al fuoco in una cazzaruola non istagnata il detto zucchero con due dita
(di bicchiere) d'acqua e allorché sarà sciolto versate le mandorle rimestandole
continuamente e quando le sentirete scoppiettare ritirate la cazzaruola
sull'orlo del fornello e vedrete che lo zucchero si rappiglia e divien
sabbioso. Allora levatelo e separate le mandorle dallo zucchero; poi la metà di
questo zucchero rimettetelo al fuoco con altre due dita d'acqua e quando
getterà l'odore di caramella versateci le dette mandorle, rimestate e, tirato
che avranno lo zucchero, levatele. Poi mettete al fuoco l'altra metà dello
zucchero rimasto, con altre due dita d'acqua, e ripetete per la terza volta
l'operazione che sarà l'ultima. Versate le mandorle in un piatto e separate quelle
che si saranno attaccate insieme.
Sono buonissime anche senza nessun odore, ma
piacendovi potete dar loro il profumo della vainiglia con zucchero vanigliato,
oppure il gusto della cioccolata con grammi 30 di questa grattata; ma l'uno o
l'altra sarà bene versarli all'ultimo momento.
786. OLIVE IN SALAMOIA
Ci saranno forse metodi più recenti e migliori per
fare le olive in salamoia; ma quello che qui vi offro è praticato in Romagna
con ottimo risultato.
Eccovi le proporzioni per ogni chilogrammo di olive:
Cenere, chilogrammi l.
Calce viva, grammi 80,
Sale, grammi 80.
Acqua per la salamoia, decilitri 8
Si dice viva la calce quando, dopo averla
leggermente bagnata coll'acqua, in forza di un'azione chimica, si screpola, si
riscalda, fuma, si gonfia e cade in polvere. È in quest'ultimo suo stato che
dovete adoperarla mescolandola alla cenere, poi coll'acqua formatene una
poltiglia né troppo densa, né troppo liquida. In essa immergete le olive in
modo che, con qualche cosa che le prema, restino tutte coperte e tenetecele
dalle dodici alle quattordici ore, cioè fino a tanto che si saranno rese
alquanto morbide e perciò guardatele spesso tastandole. Alcuni osservano se la
polpa si distacca dal nocciolo; ma questa è una norma talvolta fallace.
Levatele dalla poltiglia, lavatele a molte acque e
lasciatele nell'acqua fresca quattro o cinque giorni, ossia finché non
renderanno l'acqua chiara perdendo l'amaro, cambiando l'acqua tre volte al
giorno. Quando saranno arrivate al punto, mettete al fuoco gli otto decilitri
di acqua col detto sale e con diversi pezzetti di grossi gambi di finocchio
selvatico, fate bollire per alcuni minuti e con questa salamoia, versata
fredda, conservate le olive in vaso di vetro o in uno di terra invetriata.
La calce per bagnarla meglio immergetela con una mano
per un momento (cinque o sei secondi di minuto bastano) nell'acqua e ponetela
sopra a un foglio di carta.
787. FUNGHI SOTT’OLIO
Scegliete funghi porcini, chiamati altrimenti morecci,
i più piccoli che potete trovare, e se ve ne fossero frammisti dei grossi
quanto le noci, di questi fatene due parti. Dopo averli nettati bene dalla
terra e lavati, fateli bollire per venticinque minuti nell'aceto bianco; ma se
fosse molto forte correggetelo con un po' d'acqua. Tolti dal fuoco asciugateli
bene entro a un canovaccio e lasciateli all'aria fino al giorno appresso.
Allora collocateli in un vaso di vetro o di terra invetriata coperti d'olio e
con qualche odore che più vi piaccia. Chi ci mette uno spicchio o due di aglio
mondati, chi alcuni chiodi di garofano e chi una foglia di alloro, che si può
far bollire fra l'aceto. Si usa mangiarli col lesso.
788. MOSTARDA ALL’USO TOSCANO
Uva dolce 1/3 nera e 2/3 bianca, oppure tutta bianca,
come io la preferisco, chilogrammi 2.
L'uva ammostatela come fareste pel vino, e dopo un
giorno o due, quando avrà alzato, spremetene il mosto.
Mele rose o reinettes, chilogrammi l.
Due pere grosse.
Vino bianco, meglio vin santo, grammi 240.
Cedro candito, grammi 120.
Senapa bianca in polvere, grammi 40.
Le mele e le pere sbucciatele e tagliatele a fette
sottili, poi mettetele al fuoco col detto vino e quando l'avranno tirato tutto
versate il mosto. Rimestate spesso e quando il composto sarà condensato
alquanto più della conserva di frutta lasciatelo freddare ed aggiungete la
senapa, sciolta prima con un poco di vino ben caldo, e il candito in minuti
pezzetti. Conservatela in vasetti con sopra un sottil velo di cannella in
polvere. La senapa, per uso di tavola, eccita l'appetito e favorisce la
digestione.
789. CROSTA E MODO DI CROSTARE
Mi lo lecito di tradurre così i due francesismi
comunemente usati di glassa, glassare, lasciando ad altri la cura
d'indicare termini italiani più speciali e più propri. Parlo di quell'intonaco
bianco o nero oppure di altro colore che si suol fare sopra alcuni dei dolci in
addietro descritti, come la bocca di dama, il salame inglese, le torte tedesche
e simili, per renderli più appariscenti.
Per crostare di nero prendete grammi 50 di cioccolata
e grammi 100 di zucchero in polvere. La cioccolata grattatela e mettetela al
fuoco in una piccola cazzaruola con tre cucchiaiate d'acqua. Sciolta che sia,
aggiungete lo zucchero e fate bollire a lento fuoco rimestando spesso.
L'importante dell'operazione è di cogliere il punto della cottura, il quale si
conoscerà quando il composto si stende a filo prendendone una goccia fra il
pollice e l'indice; ma questo filo non lo esigete più lungo di un centimetro,
altrimenti il punto di cottura vi passa. Levate allora la cazzaruola dal fuoco
e ponetela nell'acqua fresca rimestando sempre, e quando vedrete che il liquido
diventa opaco alla superficie come desse cenno di formare una tela,
distendetelo sul dolce. Rimettete questo in forno oppure sotto a un coperchio
di ferro col fuoco sopra per due o tre minuti e vedrete che la crosta prenderà
un aspetto liscio, lucido e duro.
La crosta bianca si fa colla chiara d'uovo, lo
zucchero a velo, l'agro di un limone e il rosolio: piacendovi di colore roseo,
invece di rosolio servitevi di alkermes. Eccovi le proporzioni all'incirca per
ognuno dei dolci descritti: La chiara di un uovo, grammi 130 di zucchero, un
quarto di limone, una cucchiaiata di rosolio oppure tanto alkermes che dia il
suddetto colore. Sbattete bene ogni cosa insieme e quando il miscuglio è sodo
in modo da scorrere leggermente, distendetelo sul dolce, ed esso si seccherà da
sé senza metterlo al fuoco.
Se poi invece di distendere la crosta bianca tutta
unita, vi piacesse di ornare il dolce a disegno, provvedetevi da chi vende
simili oggetti per decorazione, certi piccoli imbuti di latta incisi in cima
che s'infilano entro a un sacchetto apposito; cose tutte di questo genere che a
nostra vergogna acquistiamo dalla Francia. In mancanza di questi strumenti, potrete
supplire alla meglio con cartocci di carta a cornetto, Posto in essi il
composto strizzate perché esca a fili sottili dal piccolo buco del fondo. Se il
composto della crosta bianca riesce troppo liquido quando lo formate,
aggiungete dello zucchero.
Un altro modo di crostare in bianco è quello praticato
pel Dolce alla napoletana n. 586, e poi andate a vedere i dolci n. 644 e 645.
790. SPEZIE FINI
Se volete usare nella vostra cucina delle spezie
buone, eccovene la rìcetta:
Noci moscate, n. 2.
Cannella di Ceylan ossia della regina, grammi 50.
Pepe garofanato, grammi 30.
Chiodi di garofano, grammi 20.
Mandorle dolci, grammi 20.
Se vi aggiungete altre specie di droghe all'infuori
del macis, cioè l'arillo della noce moscata, che è ottimo, non farete
nulla di veramente buono; vi consiglio anche di non imitare i droghieri, i
quali, invece della cannella di Ceylan, adoperano la cassialinea ossia cannella
di Goa e vi buttano coriandoli a piene mani perché questi fanno volume e
costano poco.
Pestate ogni cosa insieme in un mortaio di bronzo,
passate le spezie da uno staccino a velo di seta e conservatele in un vaso di
vetro a tappo smerigliato, oppure in una boccetta col turo di sughero, e vi si
conserveranno anche per anni colla stessa fragranza del primo giorno. Le spezie
sono eccitanti, ma usate parcamente aiutano lo stomaco a digerire.