ARTUSI LIBRO 6
426. PISELLI COL PROSCIUTTO
Lasciamo agl’Inglesi il gusto di mangiare i legumi
lessati senza condimento o, al più, con un poco di burro; noi, popoli
meridionali, abbiamo bisogno che il sapore delle vivande ecciti alquanto.
In nessun altro luogo ho trovato buoni i piselli come
nelle trattorie di Roma, non tanto per l'eccellente qualità degli ortaggi di
quella città, quanto perché colà ai piselli si dà il grato sapore del
prosciutto affumicato. Avendo con qualche prova tentato d'indovinare come si
preparino, se non ho raggiunto quella stessa bontà mi ci sono appressato, ed
ecco come:
Dividete in due parti per il lungo, secondo la
quantità dei piselli, una o due cipolle novelline e mettetele al fuoco con olio
e alquanto prosciutto grasso e magro tagliato a piccoli dadi. Fate soffriggere
finché il prosciutto sia raggrinzito; allora gettate dentro i piselli,
conditeli con poco o punto sale e una presa di pepe; mescolate e finiteli di
cuocere col brodo, aggiungendovi un poco di burro.
Serviteli, o soli come piatto di legume, o per
contorno; ma prima gettate via tutta la cipolla.
427. PISELLI COLLA CARNESECCA
I piselli vengono bene anche nella seguente maniera,
ma gli antecedenti appartengono di più alla cucina fine. Mettete al fuoco un
battutino di carnesecca, aglio, prezzemolo e olio; conditelo con poco sale e
pepe, e quando l'aglio avrà preso colore, buttate giù i piselli. Tirato che
abbiano l'unto, finite di cuocerli con brodo o, in mancanza di questo, con
acqua.
I gusci dei piselli, se sono teneri e freschi, si
possono utilizzare cotti nell'acqua e passati dallo staccio. Si ottiene così
una purée, cioè un passato che, sciolto nel brodo, aggiunge delicatezza
a una zuppa di erbaggi o ad una minestra di riso e cavolo. Si può anche
mescolarlo all'acqua del risotto coi piselli n. 75.
428. SFORMATO DI PISELLI FRESCHI
Piselli sgranati, grammi 600.
Prosciutto grasso e magro, grammi 50.
Burro, grammi 30.
Farina, grammi 20.
Uova, n. 3.
Parmigiano, una cucchiaiata.
Fate un battutino col prosciutto suddetto, una piccola
cipolla novellina e un pizzico di prezzemolo. Mettetelo al fuoco con olio e
quando avrà preso colore versate i piselli condendoli con sale e pepe. Cotti
che siano passatene una quarta parte e il passato unitelo a un intriso composto
col burro e la farina indicati e diluito sul fuoco con sugo di carne o brodo.
Poi mescolate ogni cosa insieme, il parmigiano compreso, e cuocete il composto
a bagno-maria in uno stampo liscio col foglio imburrato sotto.
429. FAVE FRESCHE IN STUFA
Prendete baccelli di fave grosse e granite; sgranatele
e sbucciatele.
Tritate fine una cipolla novellina, mettetela al fuoco
con olio, e quando comincia a rosolare, gettate nel soffritto prosciutto grasso
e magro tagliato a dadini. Dopo poco versate le fave, conditele con pepe e poco
sale e quando avranno preso il condimento, aggiungete un grumolo o due, a
seconda della quantità delle fave, di lattuga tagliata all'ingrosso e finite di
cuocerle con brodo, se occorre.
430. POMODORI RIPIENI
Prendete pomodori di mezzana grandezza e maturi;
tagliateli in due parti eguali, levatene i semi, conditeli con sale e pepe e
riempite i buchi formati col seguente composto, in modo che sopravanzi e faccia
la colma sulla superficie del pomodoro medesimo.
Fate un battutino con cipolla, prezzemolo e sedano,
mettetelo al fuoco con un pezzetto di burro e quando avrà preso colore,
versateci un pugnello di funghi secchi rammolliti e tritati finissimi;
aggiungete un cucchiaio di pappa col latte, condite con sale e pepe, e fate
bollire alquanto, bagnando il composto col latte, se occorre. Tolto dal fuoco
aggiungete, quando sarà tiepido, parmigiano grattato e un uovo oppure il rosso
soltanto, se è sufficiente a rendere il composto non troppo liquido. Preparati
così i pomodori, cuoceteli in una teglia fra due fuochi con un po' di burro e
olio insieme e serviteli per contorno a un arrosto qualunque o a una bistecca
in gratella. Si posson fare più semplici con un battutino di aglio e prezzemolo
mescolato con pochissimo pangrattato, sale e pepe e conditi coll'olio quando
sono nella teglia.
Per contorno al lesso vengono eccellenti nella
seguente maniera. Prendete un tegame largo oppure una teglia, spargete sulla
medesima dei pezzettini di burro e sopra questi collocate, dalla parte della
buccia, pomodori tagliati a metà dopo averne levati i semi. Conditeli con sale,
pepe e un poco d'olio, spargete sui medesimi altri pezzettini di burro e
cuoceteli a vaso scoperto.
431. CAVOLFIORE COLLA BALSAMELLA
I cavoli tutti, siano bianchi, neri, gialli o verdi,
sono figliuoli o figliastri di Eolo, dio dei venti, e però coloro che il vento
non possono sopportare rammentino che per essi queste piante sono vere crocifere,
così chiamate perché i loro fiori portano quattro petali in forma di croce.
Levate a una grossa palla di cavolfiore le foglie e le costole verdi, fatele un
profondo taglio in croce nel gambo e cuocetela in acqua salata. Tagliatela
poscia a spicchiettini e tiratela a sapore con burro, sale e pepe. Mettetela in
un vassoio che regga al fuoco, buttateci sopra un pizzico scarso di parmigiano,
copritela tutta colla balsamella del n. 137 e rosolatene la superficie.
Servite questo cavolfiore caldo come tramesso o, meglio, accompagnato da un
umido di carne o da un pollo lessato.
432. SAUER-KRAUT I
Non è questo il vero sauer-kraut, il quale
bisogna lasciar fare ai tedeschi: è una pallida imitazione di quello, che però
non riesce sgradevole come contorno ai coteghini, agli zamponi ed anche al
lesso comune.
Prendete una palla di cavolo bianco, nettatela dalle
foglie verdi a grosse costole e tagliatela, in quattro spicchi, cominciando dal
gambo. Lavateli bene nell'acqua fresca e poi, con un coltello lungo ed
affilato, tagliateli per traverso ben sottili come fareste pei taglierini.
Ridotto il cavolo a questo modo, ponetelo in un vaso di terra con un pizzico di
sale e versategli sopra acqua bollente fino a coprirlo. Quando sarà diaccio
levatelo via strizzandolo bene, poi rimettetelo nel vaso asciutto con un dito
di aceto forte mescolato in un bicchier d'acqua fresca. Se la palla di cavolo
sarà molto grossa, raddoppiate la dose. Lasciatelo in infusione diverse ore,
tornate a strizzarlo bene e mettetelo a cuocere nella seguente maniera.
Tritate fine una fetta proporzionata di prosciutto
grasso o di carnesecca e mettetela con un pezzetto di burro in una cazzaruola;
quando avranno soffritto un poco, gettateci il cavolo e tiratelo a cottura con
brodo di coteghino o di zampone, se questi sono insaccati di fresco e non
troppo piccanti, altrimenti servitevi di brodo. Prima di mandarlo in tavola
assaggiatelo se sta bene di aceto, il quale deve leggermente sentirsi, e di
sale.
A proposito di salumi, in qualche provincia d'Italia,
avendo il popolo preso il vizio delle abbondanti e frequenti libazioni a Bacco,
si è guasto il senso del palato; per conseguenza i pizzicagnoli dovendo
uniformarsi a un gusto pervertito, impinzano le carni porcine di sale, di pepe
e di droghe piccanti a dispetto de' buongustai che le aggredirebbero leggiere
di condimento e di sapore delicato come quelle, ad esempio, che si manipolano,
più che altrove, nel modenese.
433. SAUER-KRAUT II
Può servire per contorno ai coteghini e al lesso come
quello del numero precedente. Prendete una palla di cavolo cappuccio o
verzotto, tagliatelo a listarelle della larghezza di un centimetro circa e
tenetelo in molle nell'acqua fresca. Levatelo dall'acqua senza spremerlo e
pigiatelo in una cazzaruola sopra al fuoco per fargli far l'acqua, che poi
scolerete strizzandolo col mestolo. Fate un battuto con un quarto di una grossa
cipolla, un po' di carnesecca tritata fine, e un pezzetto di burro; quando avrà
preso colore versate il cavolo anzidetto con un pezzo di carnesecca intera
tramezzo, che poi leverete, e conditelo con sale e pepe. Fatelo bollire adagio,
bagnandolo con brodo per tirarlo a cottura e per ultimo aggiungete un poco
d'aceto e un cucchiaino di zucchero, ma in modo che l'aceto si faccia appena
sentire.
434. BROCCOLI O TALLI DI RAPE ALLA FIORENTINA
I broccoli di rapa non sono altro che le messe o i
talli delle rape, le quali soglionsi portare al mercato con qualche foglia
attaccata. È un erbaggio dei più sani, usatissimo in Toscana; ma per la sua
insipidezza e sapore amarognolo non è apprezzato in altre parti d'Italia, e
nemmeno è portato sulla mensa del povero.
Nettate i broccoli dalle foglie più dure, lessateli,
spremeteli dall'acqua e tagliateli all'ingrosso. Tritate due o tre spicchi
d'aglio o lasciateli interi, e preso che abbiano colore con olio abbondante in
padella, gettateci i broccoli, conditeli con sale e pepe, rimestateli spesso e
lasciateli soffrigger molto. Possono servirsi per contorno al lesso o anche per
mangiarli soli.
Se non vi piaccion così, lessateli e conditeli con
olio e aceto. Nel febbraio e nel marzo si mettono in vendita i talli di questa
pianta che sono teneri e delicati.
Nei paesi ove l'olio non è perfetto si può supplire
col lardo; anzi, a gusto mio, soffritti con questo sono migliori.
435. BROCCOLI ROMANI
Questi broccoli, di cui a Roma si fa gran consumo, hanno
le foglie di un verde cupo e il fiore nero o paonazzo.
Nettateli dalle foglie più dure e lessateli. Tolti
dall'acqua bollente gettateli nella fredda e, dopo strizzati bene, tritateli
all'ingrosso e gettateli in padella con lardo vergine (strutto), condendoli con
sale e pepe. Tirato che abbiano tutto l'unto, annaffiateli con vino bianco
dolce, continuate a strascinarli in padella finché l'abbiano tutto assorbito ed
evaporato, indi serviteli ché saranno lodati.
Eccovi un altro modo di cucinar questi broccoli che
così, senza lessarli, riescono migliori. Servitevi soltanto del fiore e delle
foglie più tenere; queste tagliatele all'ingrosso e il fiore a piccoli spicchi.
Mettete la padella al fuoco con olio in proporzione e uno spicchio d'aglio
tagliato a fettine per traverso. Quando l'aglio comincia a rosolare gettate da
crude in padella prima le foglie e poi il fiore, sale e pepe per condimento, e
via via che, bollendo, si prosciugano rimestandoli sempre, andateli bagnando
con un gocciolo d'acqua calda e, quasi a cottura completa, col vino bianco. Non
potendo darvi di questo piatto le dosi precise abbiate la pazienza di far
qualche prova (ne fo tante io!) per accertarvi del suo gusto migliore.
436. CAVOLO RIPIENO
Prendete una grossa palla di cavolo cappuccio o
verzotto, nettatela dalle foglie dure della superficie, pareggiatele il gambo e
datele mezza cottura in acqua salata. Mettetela capovolta a scolare, poi aprite
le foglie ad una ad una fino al grumolo di mezzo e sul medesimo versate il
ripieno; tirategli sopra tutte le foglie per benino, chiudetelo tutto e fategli
una legatura in croce.
Il ripieno potete farlo con vitella di latte
stracottata sola, od unita a fegatini e animelle, il tutto tritato fine. Per
aggraziare e render delicato il composto, aggiungete un poco di balsamella, un
pizzico di parmigiano, un rosso d'uovo e l'odore di noce moscata. Terminate di
cuocere il cavolo nel sugo del detto stracotto, aggiungendovi un pezzetto di
burro, con fuoco leggiero sotto e sopra.
Non volendo riempire il cavolo intero, si possono
riempire le foglie più larghe ad una ad una avvolgendole sopra sé stesse a
guisa di tanti rocchi.
Alla balsamella può supplire una midolla di
pane inzuppata nel brodo o nel sugo.
437. CAVOLO BIANCO PER CONTORNO
Prendete una palla di cavolo cappuccio o verzotto,
tagliatela in croce dalla parte del gambo per formarne quattro parti ed ognuna
di queste tagliatela a piccoli spicchi. Tenetelo in molle nell'acqua fresca, e
scottatelo in acqua salata e, tolto dal fuoco, scolatelo bene senza spremerlo.
Fate un battuto di prosciutto e cipolla e mettetelo al fuoco con un pezzo di
burro. Quando la cipolla avrà preso il rosso fermatela con un ramaiuolo di
brodo, fate bollire un poco e poi passate il sugo. In questo sugo rimettete il
cavolo con un pezzetto di prosciutto, conditelo con pepe e poco sale e fatelo
bollire adagio per terminare di cuocerlo. Levate il prosciutto e mandatelo in
tavola per contorno al lesso.
438. CAVOLO NERO PER CONTORNO
Levategli le costole dure, lessatelo e tritatelo fine.
Se non avete sugo di carne fate un battutino di prosciutto e cipolla, mettetelo
al fuoco con un pezzetto di burro e quando la cipolla sarà ben rosolata,
bagnatela con un gocciolo di brodo e passate il sugo formatosi. In esso gettate
il cavolo, conditelo con pepe, poco o punto sale, aggiungete un altro pezzetto
di burro e altro brodo, se occorre, e servitelo per contorno al lesso o al
coteghino. Alcuni usano per minestra, di arrostire fette di pane grosse un
dito, di strofinarle coll'aglio, d'intingerle appena nell'acqua in cui ha
bollito il cavolo nero, ponendoci sopra il cavolo stesso, ancora caldo, e
condendolo con sale, pepe e olio. Questo, che chiamasi a Firenze cavolo con
le fette, è un piatto da Certosini o da infliggersi per penitenza ad un
ghiottone.
439. FINOCCHI COLLA BALSAMELLA
Prendete finocchi polputi, nettateli dalle foglie
dure, tagliateli a piccoli spicchi, lavateli e scottateli nell'acqua salata.
Metteteli a soffriggere nel burro e, quando l'avranno succhiato, tirateli a
cottura intera col latte. Assaggiateli se stanno bene a sale, poi levateli
asciutti e poneteli in un vassoio che regga al fuoco. Spolverizzateli di
parmigiano e copriteli di balsamella. Rosolateli col fuoco sopra e
serviteli col lesso o coll'umido.
440. FINOCCHI PER CONTORNO
Questa ricetta è più semplice della precedente, ed è
egualmente opportuna per contorno al lesso.
Dopo averli tagliati a spicchi e scottati nell'acqua
salata, soffriggeteli nel burro, tirateli a cottura col brodo, legateli con un
pizzico di farina e quando li levate, date loro sapore con un poco di
parmigiano.
441. PATATE ALLA SAUTÉ
Ciò vuol dire, in buono italiano, patate rosolate nel
burro. Sbucciate le patate crude e tagliatele a fette sottili che porrete al
fuoco in una teglia col burro, condendole con sale e pepe. Si addice molto il
metterle sotto la bistecca quando questa si manda in tavola. Si possono anche
friggere in padella coll'olio nella seguente maniera. Se sono patate novelline
non occorre sbucciarle; basta strofinarle con un canovaccio ruvido. Tagliatele
a fettine sottilissime e lasciatele nell'acqua fresca per un'ora circa; poi
asciugatele bene fra le pieghe di un canovaccio e infarinatele. Avvertite di
non arrostirle troppo e salatele dopo cotte.
442. PATATE TARTUFATE
Tagliate a fette sottili delle patate già mezzo
lessate e ponetele a suoli in una tegliettina, intramezzate da tartufi,
anch'essi a fette sottili, e da parmigiano grattato. Aggiungete qualche
pezzetto di burro, sale e pepe, e quando cominciano a grillettare, annaffiatele
con brodo o con sugo di carne. Prima di ritirarle dal fuoco strizzate sulle
medesime un po' d'agro di limone e servitele calde.
443. PASSATO DI PATATE
Ormai in Italia se non si parla barbaro, trattandosi
specialmente di mode e di cucina, nessuno v'intende; quindi per esser capito
bisognerà ch'io chiami questo piatto di contorno non passato di...; ma purée
di... o più barbaramente ancora patate mâchées.
Patate belle, grosse, farinacee, grammi 500.
Burro, grammi 50.
Latte buono, o panna, mezzo bicchiere.
Sale, quanto basta.
Lessate le patate, sbucciatele e, calde bollenti,
passatele per istaccio. Poi mettetele al fuoco in una cazzaruola coi suddetti
ingredienti, lavorandole molto col mestolo onde si affinino. Si conosce se le
patate son cotte bucandole con uno stecco appuntato che deve passare da parte a
parte liberamente.
444. INSALATA DI PATATE
Benché si tratti di patate vi dico che questo piatto,
nella sua modestia, è degno di essere elogiato, ma non è per tutti gli
stomachi.
Lessate grammi 500 di patate o cuocetele a vapore,
sbucciatele calde, tagliatele a fette sottili e mettetele in un'insalatiera.
Prendete:
Capperi sotto aceto, grammi 30.
Peperoni sotto aceto, n. 2.
Cetriolini sotto aceto, n. 5.
Cipolline sotto aceto, n. 4.
Acciughe salate e pulite, n. 4.
Una costola di sedano lunga un palmo.
Un pizzico di basilico; e tutte queste cose insieme
tritatele minutissime e mettetele in una scodella.
Prendete due uova sode, tritatele egualmente, poi stiacciatele
con la lama di un coltello ed unitele al detto battuto.
Conditelo con olio a buona misura, poco aceto, sale e
pepe e, mescolato ben bene, servitevi di questa poltiglia, divenuta quasi
liquida, per condir le patate, alle quali potete aggiungere, se vi piace,
l'odore del regamo.
Questa dose può bastare per sei o sette persone ed è
un piatto che può conservarsi anche per diversi giorni.
445. TORTINO DI ZUCCHINI
Tagliate gli zucchini a tocchetti grossi poco più
delle nocciuole, rosolateli nel burro e conditeli con sale e pepe. Poi
versateli in un vassoio che regga al fuoco, spolverizzateli leggermente di
parmigiano in cui avrete mescolato una presa di noce moscata e copriteli di una
balsamella sodettina. Rosolate alquanto la superficie col coperchio del
forno da campagna e serviteli per tramesso o in compagnia del lesso o di un
umido di carne.
446. TORTINO DI PATATE I
Questo piatto, come quello del n. 443, può servire per
tramesso o solo o in compagnia di coteghini e zamponi.
Patate belle, grosse, farinacee, grammi 500.
Burro, grammi 50.
Latte buono, o panna, mezzo bicchiere.
Parmigiano grattato, due cucchiaiate.
Uova, n. 2.
Sale, quanto basta.
Eseguita che avrete la stessa fattura del n. 443,
lasciatele diacciare ed aggiungete il parmigiano e le uova.
Prendete un piatto di rame da pasticcio o una teglia
proporzionata, ungetela col burro, spolverizzatela di pangrattato fine e
versatevi il composto dopo averlo ben mescolato. Dategli la forma di una
schiacciata alta un dito o un dito e mezzo e ponetelo sotto il forno da
campagna per rosolarlo. Servitelo caldo dalla parte sotto stante o superiore,
dove è più appariscente. Invece di un tortino grande potete farne molti dei
piccoli, od anche, per dar loro una forma elegante, porre il composto negli stampini.
447. TORTINO DI PATATE II
Il tortino di patate fatto nel seguente modo, mi
sembra che venga meglio del precedente.
Patate, grammi 500.
Burro, grattami 50.
Farina, grammi 30.
Uova, n. 2.
Parmigiano, due cucchiaiate.
Latte, quanto basta.
Sale, quanto basta.
Fate una balsamella con la detta farina, con la
metà del burro e il latte che occorre. Versate nella medesima le patate già
cotte e passate. Lavoratele sopra al fuoco versando il burro rimanente, il sale
e tanto altro latte che basti a farne una pasta non troppo morbida. Diaccia,
aggiungete il resto e rosolate il composto come il precedente.
448. SPINACI PER CONTORNO
Lo spinacio è un erbaggio salubre, rinfrescante,
emolliente, alquanto lassativo e di facile digestione quando è tritato. Dopo
averli lessati e tritati fini colla lunetta si possono cucinare gli spinaci in
questi diversi modi:
l°. Con solo burro, sale e pepe, aggiungendo un poco
di sugo di carne, se lo avete, o qualche cucchiaiata di brodo od anche di
panna.
2°. Con un piccolissimo soffritto di cipolla tritata
fine e tirato col burro.
3°. Con solo burro, sale e pepe come i primi,
aggiungendo un pizzico di parmigiano.
4°. Con burro, un gocciolo d'olio appena e sugo di
pomodoro o conserva.
449. SPINACI DI MAGRO ALL’USO DI ROMAGNA
Lessateli con la sola acqua che grondano dall'averli
tenuti in molle, spremeteli bene e metteteli in umido con un soffritto di olio,
aglio, prezzemolo, sale e pepe, lasciandoli interi ed aggraziandoli con una
presa di zucchero e alcuni chicchi d'uva secca a cui siano stati tolti gli
acini.
450. SPARAGI
Per dare agli sparagi aspetto più bello, prima di
cuocerli, raschiate con un coltello la parte bianca e pareggiate l'estremità del
gambo; poi legateli con uno spago in mazzi non troppo grossi, e perché restino
verdi, salate l'acqua, immergendoli quando bolle forte e facendo vento onde il
bollore riprenda subito. La cottura è giusta allorché gli sparagi cominciano a
piegare il capo; ma accertatevi meglio colle dita se cedono a una giusta
pressione, essendo bene che sieno piuttosto poco che troppo cotti. Quando li
levate, gettateli nell'acqua fresca, ma poi toglieteli subito per servirli
caldi come i più li desiderano. Questo erbaggio, prezioso non solo per le sue
qualità diuretiche e digestive, ma anche per l'alto prezzo a cui si vende,
lessato che sia si può preparare in diverse maniere, ma la più semplice e la
migliore è quella comune di condirli con olio finissimo e aceto o agro di
limone. Nonostante, per variare, eccovi altri modi di prepararli, dopo averli
lessati a metà. Metteteli interi a soffriggere alquanto con la parte verde nel
burro e, dopo averli conditi con sale, pepe e un pizzico assai scarso di
parmigiano, levateli versandoci sopra il burro quando avrà preso il rosso.
Oppure, dividete la parte verde dalla bianca e, prendendo un piatto che regga
al fuoco, disponeteli in questa guisa: spolverizzatene il fondo con parmigiano
grattato e distendeteci sopra le punte degli sparagi le une accosto alle altre,
conditele con sale, pepe, parmigiano e pezzetti di burro; fate un altro suolo
di sparagi e conditeli al modo istesso proseguendo finché ne avrete; ma andate
scarsi a condimento onde non riescano nauseanti. Gli strati degli sparagi
incrociateli come un fitto graticolato, metteteli sotto a un coperchio col
fuoco sopra per scioglierne il condimento, e serviteli caldi. Se avete sugo di
carne, lessateli a metà e tirateli a cottura con quello, aggiungendo un poco di
burro e una leggiera fioritura di parmigiano. In un fritto misto potete anche
servirvi delle punte verdi degli sparagi avvolgendole nella pastella del n.
156.
Altri e diversi modi di prepararli vengono indicati
nei libri di cucina; ma il più sovente riescono intrugli non graditi dai
buongustai. Nonostante v'indico la salsa del n. 124, che può piacere, se è
mandata calda in tavola in una salsiera a parte, per condire con essa tanto gli
sparagi quanto i carciofi tagliati in quarti e lessati.
Il cattivo odore prodotto dagli sparagi si può
convertire in grato olezzo di viola mammola, versando nel vaso da notte alcune
gocce di trementina.
451. SFORMATO DI ZUCCHINI PASSATI
Zucchini, grammi 600.
Parmigiano, grammi 40.
Uova, n. 4.
Fate un battuto con un quarto di cipolla, sedano,
carota e prezzemolo. Mettetelo al fuoco con olio e quando avrà preso colore
versate gli zucchini tagliati a tocchetti conditi con sale e pepe. Allorché
saranno rosolati tirateli a cottura con acqua, passateli asciutti dallo staccio
ed aggiungete il parmigiano e le uova.
Fate una balsamella con grammi 60 di burro, due
cucchiaiate di farina e 4 decilitri di latte. Mescolate ogni cosa insieme e,
servendovi di uno stampo liscio e bucato, cuocetelo a bagno-maria. Sformatelo
caldo, riempite il vuoto con un umido delicato e servitelo.
Questa dose potrà bastare per otto o dieci persone
452. SFORMATO DI FUNGHI
Tutte le qualità di funghi possono fare al caso; ma io
ritengo che i porcini sieno da preferirsi, esclusi però i grossissimi.
Nettateli bene dalla terra e lavateli, poi tritateli minuti alla grossezza di
un cece o anche meno. Metteteli al fuoco con burro, sale e pepe e quando
avranno soffritto alquanto, tirateli a cottura con sugo di carne. Ritirati dal
fuoco, legateli con balsamella, uova e parmigiano e assodate il composto
a bagno-maria.
Grammi 600 di funghi in natura con cinque uova faranno
uno sformato bastante per dieci persone.
Servitelo caldo e per tramesso.
453. CAVOLO VERZOTTO PER CONTORNO
Lessatelo a metà, strizzatelo dall'acqua, tritatelo colla
lunetta, mettetelo al fuoco con burro e latte per tirarlo a cottura e salatelo.
Quando sarà ben cotto unitegli della balsamella piuttosto soda; fate che
s'incorpori bene sul fuoco col cavolo e aggiungete parmigiano grattato.
Assaggiatelo per sentire se ha sapore e se è giusto di condimenti e servitelo
per contorno al lesso o a un umido di carne; vedrete che piacerà molto per la
sua delicatezza.
454. INSALATA RUSSA
La così detta insalata russa, ora di moda nei pranzi,
conservatone il carattere fondamentale, i cuochi la intrugliano a loro piacere.
La presente, fatta nella mia cucina, nella sua complicazione, è una delle più
semplici.
Insalata, grammi 120.
Barbabietole, grammi 100.
Fagiuolini in erba, grammi 70.
Patate, grammi 50.
Carote, grammi 20.
Capperi sotto aceto, grammi 20.
Cetriolini sotto aceto, grammi 20.
Acciughe salate, n. 3.
Uova sode, n. 2.
L'insalata, che può essere di due o tre qualità, come
sarebbe insalata romana (lattugoni), radicchio, lattuga, tagliatela a striscioline.
Le barbabietole, i fagiuolini, le patate e le carote pesatele dopo lessate e
tagliatele a piccoli dadi grossi meno di un cece e così pure le chiare e un
rosso delle due uova assodate. I capperi lasciateli interi e i cetriolini
tagliateli alla grossezza dei medesimi.
Le acciughe, pulite e toltane la spina, tagliatele a
pezzettini, e fatto tutto questo mescolate ogni cosa insieme.
Ora preparate una maionese (vedi n. 126) con due rossi
crudi e quello sodo rimasto e 2 decilitri di olio sopraffine. Quando sarà
montata aggiungete l'agro di un limone, conditela con sale e pepe e versatela
nel detto miscuglio rimestando bene onde lo investa tutto.
Sciogliete al fuoco tre fogli di colla di pesce in due
dita, di bicchiere, d'acqua dopo di averla tenuta in molle qualche ora e,
sciolta che sia, versatene quanto è grosso un soldo sul fondo di uno stampo
liscio e il resto mescolatelo nel composto che poi verserete nel detto stampo
per metterlo in ghiaccio. Per isformarla facilmente, bagnate lo stampo con acqua
calda e se volete darle un'apparenza più bella ed elegante, quando nello stampo
avrete versato lo strato sottile di colla di pesce, prima d'aggiungere il
composto ci potrete fare sopra un ornato a diversi colori coll'erbaggio, le
chiare e il rosso delle uova sode sopraccennate.
Questa dose potrà bastare per otto o dieci persone.
PIATTI DI PESCE
Tra i pesci comuni, i più fini sono: lo storione, il
dentice, l'ombrina, il ragno, la sogliola, il rombo, il pesce San Pietro, l'orata,
la triglia di scoglio, la trota d'acqua dolce; ottimi tutto l'anno, ma la
sogliola e il rombo specialmente d'inverno.
Le stagioni per gli altri pesci più conosciuti sono:
pel nasello, l'anguilla e i totani, tutto l'anno; ma l'anguilla è più adatta
l'inverno e i totani sono migliori l'estate.
Pel muggine grosso di mare, il luglio e l'agosto; pel
muggine piccolo (cefalo), l'ottobre e il novembre, ed anche tutto
l'inverno. Pei ghiozzi, frittura e seppie, il marzo, l'aprile e il maggio. Pei
polpi, l'ottobre. Per le sarde e le acciughe, tutto l'inverno fino all'aprile.
Per le triglie (barboni), il settembre e l'ottobre. Pel tonno, dal marzo
all'ottobre. Per lo sgombro, la primavera, specialmente il maggio; questo
pesce, per la sua carne dura e tigliosa, si usa cuocerlo in umido; volendolo
fare in gratella sarà bene metterlo al fuoco sopra un foglio grosso di carta
unto e condirlo con olio, sale, pepe e qualche foglia di ramerino.
Tra i crostacei, uno de' più stimati è l'arigusta, o
aragosta, buona tutto l'anno, ma meglio in primavera, e tra le conchiglie,
l'ostrica, la quale ne' luoghi di ostricultura si raccoglie dall'ottobre
all'aprile.
Il pesce, se è fresco, ha l'occhio vivace e lucido; lo
ha pallido ed appannato se non è fresco. Un altro indizio della sua freschezza
è il colore rosso delle branchie; ma queste potendo essere state colorite ad
arte col sangue, toccatele con un dito e portatevelo al naso: l'odore vi farà
la spia. Un altro carattere del pesce fresco è la sodezza delle carni, perché
se sta molto nel ghiaccio diventa frollo e morbido al tatto.
I marinai dicono che, i crostacei e i ricci di mare,
sono più pieni pescati durante il chiaro di luna.
455. CACCIUCCO I
Cacciucco! Lasciatemi far due chiacchiere su questa
parola la quale forse non è intesa che in Toscana e sulle spiagge del
Mediterraneo, per la ragione che ne' paesi che costeggiano l'Adriatico è
sostituita dalla voce brodetto. A Firenze, invece, il brodetto è una
minestra che s'usa per Pasqua d'uova, cioè una zuppa di pane in brodo, legata
con uova frullate e agro di limone. La confusione di questi e simili termini
fra provincia e provincia, in Italia, è tale che poco manca a formare una
seconda Babele. Dopo l'unità della patria mi sembrava logica conseguenza il
pensare all'unità della lingua parlata, che pochi curano e molti osteggiano,
forse per un falso amor proprio e forse anche per la lunga e inveterata
consuetudine ai propri dialetti.
Tornando al cacciucco, dirò che questo, naturalmente,
è un piatto in uso più che altrove nei porti di mare, ove il pesce si trova
fresco e delle specie occorrente al bisogno. Ogni pescivendolo è in grado di
indicarvi le qualità che meglio si addicono a un buon cacciucco; ma buono
quanto si voglia, è sempre un cibo assai grave e bisogna guardarsi dal farne
una scorpacciata.
Per grammi 700 di pesce, trinciate fine mezza cipolla
e mettetela a soffriggere con olio, prezzemolo e due spicchi d'aglio intero.
Appena che la cipolla avrà preso colore, aggiungete grammi 300 di pomodori a
pezzi, o conserva, e condite con sale e pepe. Cotti che siano i pomodori,
versate sui medesimi un dito d'aceto se è forte, e due se è debole, diluito in
un buon bicchier d'acqua. Lasciate bollire ancora per qualche minuto, poi
gettate via l'aglio e passate il resto spremendo bene. Rimettete al fuoco il
succo passato, insieme col pesce che avrete in pronto, come sarebbero, parlando
dei più comuni, sogliole, triglie, pesce cappone, palombo, ghiozzi, canocchie,
che in Toscana chiamassi cicale, ed altre varietà della
stagione, lasciando interi i pesci piccoli e tagliando a pezzi i grossi.
Assaggiate se sta bene il condimento; ma in ogni caso non sarà male aggiungere
un po' d'olio tenendosi piuttosto scarsi nel soffritto. Giunto il pesce a
cottura e fatto il cacciucco, si usa portarlo in tavola in due vassoi separati;
in uno il pesce asciutto, nell'altro tante fette di pane, grosse un dito,
quante ne può intingere il succo che resta, ma prima asciugatele al fuoco senza
arrostirle.
456. CACCIUCCO II
Questo cacciucco, imparato a Viareggio, è assai meno
gustoso dell'antecedente, ma più leggiero e più digeribile.
Per la stessa quantità di pesce pestate in un mortaio
tre grossi spicchi d'aglio e dello zenzero fresco, oppure secco, per ridurlo in
polvere. Per zenzero colà s'intende il peperone rosso piccante, quindi va
escluso il pepe. Mettete questo composto al fuoco in un tegame o pentola di
terra con olio in proporzione e quando avrà soffritto versateci un bicchiere di
liquido composto di un terzo di vino bianco asciutto oppure rosso e il resto
acqua. Collocateci il pesce, salatelo e poco dopo sugo di pomodoro o conserva
sciolta in un gocciolo d'acqua. Fate bollire a fuoco ardente tenendo sempre il
vaso coperto, non toccate mai il pesce per non romperlo, e lo troverete cotto
in pochi minuti.
Servitelo come il precedente, con fette di pane a
parte che asciugherete prima al fuoco senza arrostirle.
Se il pesce, prima di cuocerlo, resta crudo per
diverse ore, si conserva meglio salandolo; ma allora è bene di lavarlo avanti
di metterlo al fuoco.
457. PESCE AL PIATTO
Ritengo che il pesce, per essere alimento poco
nutritivo, sia più igienico usarlo promiscuamente alla carne anziché cibarsi
esclusivamente di esso ne' giorni magri, ammenoché non vi sentiate il bisogno di
equilibrare il corpo per ripienezza di cibi troppo succolenti. Di più il pesce,
in ispecie i così detti frutti di mare e i crostacei, per la quantità notevole
d'idrogeno e di fosforo che contengono, sono eccitanti e non sarebbero indicati
per chi vuol vivere in continenza.
Meglio è il servirsi per questo piatto di qualità
diverse di pesce minuto; ma si può cucinare nella stessa maniera anche il pesce
a taglio in fette sottili. Quando io l'ho fatto di sogliole e triglie, ho
diviso le prime in tre parti. Dopo che avrete nettato, lavato e asciugato il
pesce, ponetelo in un vaso di metallo o di porcellana che regga al fuoco e
conditelo con un battuto d'aglio e prezzemolo, sale e pepe, olio, agro di
limone e vino bianco buono.
Ponete in fondo metà del battuto con un po' d'olio,
distendetegli sopra il pesce, e poi, versando dell'altro olio e il resto degli
ingredienti, fate che il pesce vi sguazzi entro. Cuocetelo con fuoco sotto e
sopra; se il vassoio è di porcellana posatelo sulla cinigia.
Non è piatto difficile a farsi e però vi consiglio di
provarlo, persuaso che ve ne troverete contenti.
458. PESCE MARINATO
Sono parecchie le specie de' pesci che si possono
marinare; ma io preferisco le sogliole e le anguille grosse. Se trattasi di
sogliole friggetele prima nell'olio e salatele; se di anguilla tagliatela a
pezzi lunghi circa mezzo dito e, senza spellarli, cuoceteli in gratella o allo
spiedo. Quando hanno gettato il grasso conditeli con sale e pepe.
Prendete una cazzaruola e in essa versate, in
proporzione del pesce, aceto, sapa (che qui ci sta come il cacio su'
maccheroni), foglie di salvia intere, pinoli interi, uva passolina, qualche
spicchio d'aglio tagliato in due per traverso e del candito a pezzettini.
Mancandovi la sapa supplite collo zucchero e assaggiate per correggere il
sapore dell'aceto, se fosse troppo forte. Fate che questo composto alzi il
bollore e poi versatelo sul pesce che avrete collocato in un tegame di terra,
disteso in modo che il liquido lo investa da tutte le parti. Fategli spiccare un'altra
volta il bollore col pesce dentro, poi coprite il vaso e riponetelo.
Quando lo servite in tavola prendetene quella quantità
che vi abbisogna con un poco dei suo intinto, unendovi anche porzione degli
ingredienti che vi sono. Se col tempo il pesce prosciugasse, rinfrescatelo con
un altro poco di marinato. Anche l'anguilla scorpionata che è
messa in commercio, potete prepararla in questa maniera.
459. PESCE LESSO
Non sarà male avvertire che si usa cuocere il pesce
lesso nella seguente maniera: si mette l'acqua occorrente, non però in molta
quantità, al fuoco; si sala e prima di gettarvi il pesce si fa bollire per
circa un quarto d'ora coi seguenti odori: un quarto o mezza cipolla, a seconda
della quantità del pesce, steccata con due chiodi di garofani, pezzi di sedano
e di carota, prezzemolo e due o tre fettine di limone; oppure (come alcuni
credono meglio) si mette al fuoco con acqua diaccia e con gli odori indicati e,
dopo cotto, si lascia in caldo nel suo brodo fino all'ora di servirlo. Con le fettine
di limone strofinatelo prima tutto da crudo, che così rimane con la pelle più
unita.
Il punto della cottura si conosce dagli occhi che
schizzano fuori, dalla pelle che si distacca toccandola e dalla tenerezza che
acquista il pesce bollendo. Mandatelo caldo in tavola, non del tutto asciutto
dall'acqua in cui è stato cotto, e se desiderate vi faccia miglior figura,
copritelo di prezzemolo naturale e collocatelo in mezzo a un contorno misto di
barbabietole cotte nell'acqua se piccole, o in forno se grosse, e di patate
lesse, tanto le une che le altre tagliate a fette sottilissime perché prendano
meglio il condimento; unite, infine, qualche spicchio di uova sode. Non
facendogli il contorno potete servirlo con le salse dei numeri 128, 129, 130,
132, 133 e 134.
Si può anche mandare in tavola il pesce lesso decorato
nella seguente maniera che farà di sé bella mostra. Tagliato a pezzetti e
colmatone un vassoio, intonacarlo tutto di maionese n. 126 e questa ornarla a
disegno con filetti di acciughe salate e di capperi interi.
460. PESCE COL PANGRATTATO
Questo piatto, che può servire anche di tramesso, si
fa specialmente quando rimane del pesce lessato di qualità fine. Tagliatelo a
pezzetti, nettatelo bene dalle spine e dalle lische, poi ponetelo nella balsamella
n. 137 e dategli sapore con sale quanto basta, parmigiano grattato e
tartufi tagliati fini. Mancandovi questi ultimi, servitevi di un pizzico di
funghi secchi rammolliti. Poi prendete un vassoio che regga al fuoco, ungetelo
con burro e spolverizzatelo di pangrattato; versateci il composto e copritelo
con un sottile strato pure di pangrattato. Per ultimo mettete sul mezzo del
colmo un pezzetto di burro, rosolatelo al forno da campagna e servitelo caldo.
461. PESCE A TAGLIO IN UMIDO
Il pesce a taglio di cui potete servirvi per questo
piatto di ottimo gusto, può essere il tonno, l'ombrina, il dentice o il ragno,
chiamato impropriamente bronzino lungo le coste dell'Adriatico. Qualunque sia
prendetene un pezzo di circa grammi 6oo che potrà bastare per cinque persone.
Levategli le scaglie e, lavato ed asciugato,
infarinatelo tutto e mettetelo a rosolare con poco olio. Levatelo asciutto,
gettate via il poco olio rimasto e pulite la cazzaruola. Fate un battuto,
tritato molto minuto, con mezza cipolla di mediocre grandezza, un pezzo di
sedano bianco lungo un palmo e un buon pizzico di prezzemolo; mettetelo al
fuoco con olio a sufficienza e conditelo con sale, pepe e un chiodo di garofano
intero. Quando avrà preso colore fermatelo con molto sugo di pomodoro o
conserva sciolta nell'acqua. Lasciatelo bollire un poco e poi collocateci il
pesce per finirne la cottura, voltandolo spesso, ma vi prevengo di servirlo con
molto del suo denso intinto onde vi sguazzi dentro.
462. PESCE SQUADRO IN UMIDO
Il pesce squadro o pesce angelo (Rhína Squatina)
è affine alle razze per avere il corpo depresso. La sua pelle, aspra e
resistente, serve per pulimentare il legno e l'avorio e per foderare astucci,
guaine di coltelli o di spade e cose simili. La sua carne è ordinaria, ma
trattata nella seguente maniera riesce un piatto da famiglia non solo
mangiabile, ma più che discretamente buono e di poca spesa, perché trovasi
comune da noi.
Componete un battuto, tritato fine, con un buon
pizzico di prezzemolo, mezza carota, un pezzo di sedano, mezzo spicchio d'aglio
e, se il pesce fosse grammi 600 circa, cipolla quanto una grossa noce. Ponete
il battuto al fuoco con olio in proporzione e quando sarà rosolato fermatelo
con sugo di pomodoro o conserva sciolta in un mezzo bicchiere d'acqua.
Conditelo con sale e pepe e collocateci sopra il pezzo del pesce che
preferibilmente dev'essere dalla parte della coda, la quale è molto grossa.
Cuocetelo adagio e quando sarà giunto a due terzi di cottura aggiungete, per
legare la salsa e per dargli un gusto più delicato, un pezzetto di burro bene
impiastricciato di farina e finite di cuocerlo.
463. NASELLO ALLA PALERMITANA
Prendete un nasello (merluzzo) del peso di grammi 500
a 600, tosategli tutte le pinne, eccetto quella della coda, lasciandogli la
testa. Sparatelo lungo il ventre per levargli le interiora e la spina,
spianatelo e conditelo con poco sale e pepe. Voltatelo dalla parte della
schiena, ungetelo con olio, conditelo con sale e pepe, panatelo, poi
collocatelo supino con due cucchiaiate d'olio sopra un vassoio che regga al
fuoco o sopra una teglia.
Prendete tre grosse acciughe salate, o quattro, se
sono piccole, nettatele dalle scaglie e dalle spine, tritatele e mettetele al
fuoco con due cucchiaiate d'olio per disfarle, badando che non bollano. Con
questa salsa spalmate il pesce nella parte di sopra, cioè sulla pancia e
copritela tutta di pangrattato spargendovi sopra qualche foglia di ramerino,
piacendovi. Cuocetelo fra due fuochi e fategli fare la crosticina, ma badate non
risecchisca troppo, anzi perciò spargetegli sopra dell'altro olio e prima di
levarlo strizzategli sopra un grosso mezzo limone. Credo potrà bastare per
quattro o cinque persone se io servite in tavola contornato da crostini di
caviale o di acciughe e burro.
464. ROTELLE DI PALOMBO IN SALSA
Il palombo (Mustelus) è un pesce della famiglia
degli squali ossia de' pescicani, e perciò in alcuni paesi il palombo si chiama
pescecane. Questa spiegazione serva per chi non sapesse cosa è il palombo, il
quale prende grandi dimensioni e la sua carne è forse la migliore tra i pesci
del sott'ordine dei selachi cui appartiene.
Prendete rotelle di palombo grosse mezzo dito; se le
lavate, asciugatele dopo in un canovaccio, spellatele con un coltello che tagli
bene, conditele con sale e pepe e tenetele per diverse ore in infusione
nell'uovo frullato. Friggetele nell'olio, ma prima copritele di pangrattato
rituffandole per due volte nell'uovo.
Ora fate la salsa componendola nella seguente maniera:
Prendete una teglia o un tegame largo ove possano star
distese e nel medesimo ponete olio in proporzione, un pezzetto di burro intriso
bene nella farina, la quale serve per legare la salsa, un pizzico di prezzemolo
tritato, sugo di pomodoro, oppure conserva diluita coll'acqua e una presa di
sale e pepe. Quando questa salsa avrà soffritto un poco sul fuoco, mettete
nella medesima le rotelle di palombo, fritte, voltatele dalle due parti ed
aggiungete acqua onde la salsa riesca liquida. Levatele dal fuoco, spargete
sulle medesime un poco di parmigiano grattato e mandatele in tavola ove saranno
molto lodate.
465. SOGLIOLE IN GRATELLA
Quando le sogliole (Solea vulgaris) sono
grosse, meglio è cuocerle in gratella e condirle col lardo invece dell'olio;
acquistano in questo modo un gusto più grato. Sbuzzatele, raschiatene le
scaglie, lavatele e poi asciugatele bene. Dopo spalmatele leggermente di lardo
vergine diaccio e che non sappia di rancido; conditele con sale e pepe ed
involtatele nel pangrattato. Sciogliete in un tegamino un altro poco di lardo
ed ungetele con una penna anche quando le rivoltate sulla gratella.
Le sogliole da friggere quando sono grosse, si possono
spellare da ambedue le parti o anche solo dalla parte scura, infarinandole e tenendole
nell'uovo per qualche ora, prima di gettarle in padella.
Una singolarità di questo pesce, meritevole di essere
menzionata, è che esso nasce, come tutti gli animali bene architettati, con un
occhio a destra ed uno a sinistra; ma a un certo periodo della sua vita
l'occhio che era nella parte bianca, cioè a sinistra, si trasporta a destra e
si fissa come quell'altro nella parte scura. Le sogliole e i rombi nuotano
collocati sul lato cieco. Alla sogliola, per la bontà e delicatezza della sua
carne, i Francesi danno il titolo di pernice di mare; è un pesce facile
a digerirsi, regge più di tanti altri alla putrefazione e non perde stagione.
Si trova abbondante nell'Adriatico ove viene pescato di nottetempo con grandi
reti a sacco, fortemente piombate alla bocca, le quali raschiando il fondo del
mare sollevano il pesce insieme colla sabbia e col fango in cui giace.
Il rombo, la cui carne è poco dissimile da quella
della sogliola ed anche più delicata, è chiamato fagiano del mare.
466. FILETTI DI SOGLIOLE COL VINO
Prendete sogliole che non sieno meno di grammi 150
ciascuna, levate loro la testa e spellatele. Poi con un coltello che tagli bene
separate dalle spine la carne per ottenere quattro lunghi filetti per ogni
sogliola od anche otto se le sogliole fossero molto grosse. Con la costola del
coltello batteteli leggermente e con la lama del medesimo spianateli per
renderli sottili e così conciati lasciateli per diverse ore nell'uovo frullato
condito con sale e pepe. involtateli poi nel pangrattato e friggeteli
nell'olio. Dopo versate in un tegame o in una teglia, ove possano star distesi,
un gocciolo di quell'olio rimasto nella padella e un pezzetto di burro,
disponeteci sopra i filetti, conditeli ancora un poco con sale e pepe e quando
avranno soffritto alquanto, bagnateli col vino bianco asciutto, fate bollire
per cinque minuti insieme con un poco di prezzemolo tritato e serviteli con la
salsa che hanno, spargendoci sopra un pizzico di parmigiano. È un piatto di
molta comparita. Servitelo con spicchi di limone. Anche i naselli si possono
cucinare nella stessa maniera.
La parola asciutto applicata al vino, in questo
caso è di rigore perché altrimenti la pietanza saprebbe troppo di dolce. Una
sogliola di comune grandezza può servire per una persona.
467. CONTORNO DI FILETTI DI SOGLIOLE A UN FRITTO DELLO
STESSO PESCE
Prendete un paio di sogliole mezzane oppure una sola,
staccatene i filetti dopo averle spellate, che saranno quattro, e tagliateli
per traverso a listarelle fini come fiammiferi. Se li tagliate in isbieco li
otterrete alquanto più lunghi e sarà meglio. Metteteli in una scodella col sugo
di un limone o più se occorre, e lasciateli così marinare per due o tre ore il
che li farà irrigidire, ché altrimenti riuscirebbero mosci. Poco prima di
servire in tavola asciugateli con un canovaccio, immergeteli nel latte,
infarinateli, cercate che non facciano gomitolo e friggeteli nell'olio; poi
salateli leggermente.
468. TRIGLIE COL PROSCIUTTO
Non è sempre vero il proverbio: Muto come un pesce,
perché la triglia, l'ombrina e qualche altro, emettono suoni speciali che
derivano dalle oscillazioni di appositi muscoli, rafforzate da quelle dell'aria
contenuta nella vescica natatoria.
Le triglie più grosse e saporose sono quelle di
scoglio; ma per cucinarle in questa maniera, possono servire triglie di mezzana
grandezza che nella regione adriatica chiamassi rossioli o barboni. Dopo
averle nettate e lavate asciugatele bene con un canovaccio e poi ponetele in
una scodella da tavola e conditele con sale, pepe, olio e agro di limone.
Lasciatele così per qualche ora e quando sarete per cuocerle, tagliate tante
fettine sottili di prosciutto grasso e magro larghe come le triglie e in
quantità uguale al numero di esse. Prendete un vassoio o un tegame di metallo,
spargete in fondo al medesimo qualche foglia di salvia intera, involtate bene
le triglie nel pangrattato e disponetele in questa guisa: addossatele insieme
ritte e frapponete le fettine di prosciutto fra l'una e l'altra, spargendovi
sopra altre foglie di salvia.
Per ultimo versate sopra le medesime il condimento
rimasto e cuocetele fra due fuochi. Se volete che questo piatto riesca più
signorile, levate la spina alle triglie da crude aprendole dalla parte davanti,
richiudendole poscia.
469. TRIGLIE IN GRATELLA ALLA MARINARA
Dopo averne estratto l'intestino, con la punta di un
coltello, dalle branchie, lavatele ed asciugatele e nel posto dov'era
l'intestino collocate un pezzetto d'aglio. Conditele con sale, pepe, olio,
foglie di ramerino e lasciatele così condite. Quando sarete per cuocerle
involtatele nel pangrattato ed ungetele col condimento allorché saranno sul
fuoco. Oppure, dopo averle nettate, lavate ed asciugate, conditele con poco
sale e pepe e cuocetele così naturali a fuoco ardente. Collocate poi sul vassoio,
conditele solo allora con olio, un altro po' di sale e pepe.
Servitele con spicchi di limone.
470. TRIGLIE DI SCOGLIO IN GRATELLA
Questo bellissimo pesce di color rosso vivace, che raggiunge
il peso di 500 a 600 grammi, eccellente al gusto, si suole cuocere in gratella
nella seguente maniera:
Conditelo con olio, sale e pepe, cuocetelo a fuoco
ardente e quando lo levate spalmatelo così a bollore con un composto di burro,
prezzemolo trito e agro di limone preparato avanti. Trattamento questo che può
servire anche per altri pesci grossi cotti in gratella.
Gli antichi Romani stimavano il pesce più delizioso
della carne e le specie che maggiormente apprezzavano erano: lo storione, il
ragno, la lampreda, la triglia di scoglio e il nasello pescato nel mar della
Siria senza annoverar le murene che alimentavano in modo grandioso in appositi
vivai e che nutrivano anche con la carne dei loro schiavi.
Vedio Pollione, noto nella storia per la sua ricchezza
e per la sua crudeltà, mentre cenava con Augusto comandò fosse gettato nel
vivaio, alle murene, uno sventurato servo che aveva rotto disavvedutamente un
bicchiere di cristallo. Augusto, ai cui piedi cadde lo schiavo, invocando la
sua intercessione, poté salvarlo a stento con un ingegnoso suo strattagemma.
Le triglie grosse di scoglio, che raggiungevano il
peso non mica di soli grammi 500 a 600, come dico più sopra, ma perfino di 4 a
6 libbre, erano stimate assai e pagate a prezzi altissimi, favolosi. La
mollezza dei costumi e la golosità avendo nei Romani raffinato il senso del
gusto, studiavansi di appagarlo con le vivande più delicate e perciò avevano
inventata una certa salsa chiamata gareleo nella quale disfacevano e
stemperavano la coratella di questo grosso pesce per intingervi la carne del
medesimo.
471. TRIGLIE ALLA LIVORNESE
Fate un battutino con aglio, prezzemolo e un pezzo di
sedano; mettetelo al fuoco con olio a buona misura e quando l'aglio avrà preso
colore, unitevi pomodori a pezzi e condite con sale e pepe. Lasciate che i
pomodori cuociano bene, rimestateli spesso e passatene il sugo. In questo sugo
collocate le triglie e cuocetele. Se sono piccole non hanno bisogno d'esser
voltate e se il vaso dove hanno bollito distese non è abbastanza decente
prendetele su a una a una per non romperle e collocatele in un vassoio.
Poco prima di levarle dal fuoco fioritele leggermente
di prezzemolo tritato.
La pesca di questo pesce è più facile e più produttiva
di giorno che di notte e la sua stagione, quando cioè è più grasso, è, come si
disse, il settembre e l'ottobre.
472. TRIGLIE ALLA VIAREGGINA
Se le triglie fossero in quantità di circa mezzo
chilogrammo fate un battutino con due spicchi d'aglio e un buon pizzico di
prezzemolo. Mettetelo al fuoco con olio a buona misura in un tegame o in una
teglia ove le triglie possano star distese e quando il soffritto sarà rosolato
fermatelo con sugo di pomodoro semplice. Lasciate bollire alquanto, poi
collocateci le triglie rivoltandole nell'intinto a una a una. Copritele e
fatele bollire adagio e quando avranno ritirato buona parte dell'umido
versateci un dito (di bicchiere) di vino rosso annacquato con due dita di
acqua.
Fatele bollire ancora un poco e servitele.
473. TONNO FRESCO
Il tonno, pesce della famiglia degli sgombri, è
proprio del bacino mediterraneo. In certe stagioni abita le parti più profonde
del mare, in altre invece si accosta alle spiagge, ove ha luogo la pesca che
riesce abbondantissima. La sua carne, per l'oleosità che contiene, rammenta
quella del maiale, e perciò non è di facile digestione. Si vuole che si trovino
dei tonni il cui peso raggiunga fino i 500 chilogrammi. La parte più tenera e
delicata di questo pesce è la pancia, che in Toscana chiamasi sorra.
Tagliatelo a fette grosse mezzo dito e mettetelo al
fuoco, sopra un abbondante soffritto d'aglio, prezzemolo e olio, quando l'aglio
comincia a prender colore. Conditelo con sale e pepe, voltate le fette dalle
due parti e, a mezza cottura, aggiungete sugo di pomodoro o conserva sciolta
nell'acqua. Cotto che sia levatelo asciutto e nel suo sugo cuocete i piselli,
poi rimettetelo sopra i medesimi per riscaldarlo e mandatelo in tavola con
questo contorno.
474. TONNO IN GRATELLA
Tagliatelo a fette come il precedente, ma preferite la
sorra; conditelo con olio, sale e pepe, involgetelo nel pangrattato e
cuocetelo, servendolo con spicchi di limone.
475. TONNO SOTT’OLIO IN SALSA ALLA BOLOGNESE
Prendete un pezzo tutto unito di tonno sott'olio del
peso di grammi 150, mettetelo al fuoco con acqua bollente e fatelo bollire
adagio per mezz'ora cambiandogli l'acqua ogni dieci minuti, cioè tre volte.
Frattanto fate un battuto tritato fine con mezza cipollina di quelle indicate
al n. 409, un quarto di spicchio d'aglio, due costole di sedano bianco lunghe
un palmo ciascuna, un bel pezzo di carota e un pugno abbondante di prezzemolo.
Ponetelo al fuoco con tre cucchiaiate d'olio e grammi
15 di burro e quando avrà preso colore fermatelo con due dita (di bicchiere)
d'acqua e lasciatelo bollire un poco. Il tonno, diaccio che sia, tagliatelo a
fette più sottili che potete e, preso un tegame, distendetelo nel medesimo a
strati, intercalandolo con la salsa e grammi 15 di burro sparso a pezzetti.
Fategli alzare il bollore al fuoco per liquefare il burro, strizzategli sopra
mezzo limone e servitelo caldo. Potrà bastare per quattro persone come
principio a una colazione di magro o come tramesso a un desinare di famiglia e
non è piatto da disprezzarsi, perché non aggrava né anche molto lo stomaco.
476. ARIGUSTA
L'aragosta o arigusta è un crostaceo dei più fini e
delicati, comune sulle coste del Mediterraneo. È indizio della freschezza e
della buona qualità delle ariguste, degli astaci e de' crostacei in genere, il
loro peso in proporzione della grossezza; ma sempre è da preferirsi che siano
vivi ancora, o almeno che diano qualche segno di vitalità, nel qual caso si usa
ripiegare la coda dell'arigusta alla parte sottostante e legarla avanti di
gettarla nell'acqua bollente per cuocerla.
A seconda della sua grossezza fatela bollire dai 30 ai
40 minuti; ma prima aromatizzate l'acqua in cui deve bollire con un mazzetto
composto di cipolla, carote, prezzemolo e due foglie d'alloro, aggiungendo a
questo due cucchiai di aceto e un pizzico di sale. Lasciate che l'arigusta
diacci nel suo brodo e quando la levate, sgrondatela dall'acqua strizzandone la
coda e dopo averla asciugata strofinatela con qualche goccia d'olio per
renderla lucida.
Mandatela in tavola con una incisione dal capo alla
coda per poterne estrarre facilmente la polpa e, se non si volesse mangiare
condita semplicemente con olio e agro di limone, accompagnatela con la salsa
maionese o con altra salsa piccante; ma potete servirla pur anche con una salsa
fatta con lo stesso pesce nel seguente modo:
Levate la polpa della testa e questa tritatela ben
fine con un rosso d'uovo assodato e alcune foglie di prezzemolo. Ponete il
composto in una salsiera, conditelo con pepe, poco o punto sale e diluitelo con
olio fine e l'agro di mezzo limone, o aceto.
477. COTOLETTE DI ARIGUSTA
Prendete un'arigusta del peso di grammi 650 circa,
lessatela come è indicato nella ricetta precedente, poi sgusciatela per
estrarne tutta la parte interna che triterete all'ingrosso con la lunetta. Fate
una balsamella nelle proporzioni e come quella del n. 220 e
quando la ritirate dal fuoco gettateci dentro l'arigusta, salatela e dopo aver
mescolato bene il composto, versatelo in un piatto e lasciatelo, per qualche
ora, raffreddar bene
Quando sarete per formare le cotolette dividete il
composto in dieci parti eguali e facendole toccare il pangrattato modellatele
fra la palma delle mani alla grossezza un po' più di mezzo dito; tuffatele
nell'uovo frullato, panatele ancora e friggetele nell'olio. Delle lunghe corna
dell'arigusta fatene dieci pezzi che infilerete nelle cotolette quando le
mandate in tavola onde facciano fede della nobile materia di cui le cotolette
sono composte. Possono bastare per cinque persone ed è un piatto molto
delicato.
478. CONCHIGLIE RIPIENE
È un piatto delicato di pesce che può servire per
principio a una colazione.
I gusci delle conchiglie marine per quest'uso devono
essere, nella parte concava, larghi quanto la palma di una mano onde ognuno,
col contenuto suo, possa bastare a una persona. Appartengono al genere Pecten
Iacobaeus, Pettine, detto volgarmente cappa santa perché si usava dai
pellegrini. La carne di questa conchiglia, buona a mangiarsi, è molto
apprezzata pel suo delicato sapore. In qualche casa signorile usansi conchiglie
d'argento e allora possono servire anche per gelati, ma in questo caso,
trattandosi di pesce, mi sembrano più opportune quelle naturali marine.
Prendete la polpa di un pesce fine lessato, benché
possa prestarsi anche il nasello, il muggine e il palombo, e con questa dose,
che potrà bastare per riempire sei conchiglie, formate il seguente composto:
Pesce lesso, grammi 130.
Parmigiano grattato, grammi 20.
Farina, grammi 20.
Burro, grammi 20.
Rossi d'uovo, n. 2.
Latte, decilitri 2 1/2.
Fate una balsamella col latte, il burro e la
farina e quando la ritirate dal fuoco uniteci il parmigiano e, non più a
bollore, i rossi d'uovo e il pesce tritato, condendolo con sale e pepe.
Versatelo nelle conchiglie unte prima col burro diaccio, rosolatelo appena nel
forno da campagna e servitelo.
Si potrebbero riempir le conchiglie anche con la polpa
del pollo lesso tritato conservando le stesse proporzioni.
479. STORIONE
Mi permetta il lettore di fare un po' di storia su
questo pesce interessantissimo.
Lo storione appartiene all'ordine dei Ganoidi, da Ganus
che vuol dire lucente, per la lucentezza delle squame, e al sott'ordine dei
Chondrostei per avere lo scheletro cartilagineo. Costituisce la famiglia degli Acipenser
che si qualifica appunto per questi due distintivi e per la pelle a
cinque serie longitudinali di placche a smalto. È un pesce che ha la bocca
posta alla faccia inferiore del capo, priva di denti e in forma di succhiatoio
protrattile, con cirri nasali ossia tentacoli, per cercare sotto le acque, nel
fango, il nutrimento che pare consista di piccoli animalucci.
Sono animali molto in pregio per le loro carni, per le
uova che costituiscono il caviale e per l'enorme vescica natatoria con cui si
forma l'ittiocolla o colla di pesce. In primavera rimontano i fiumi per deporre
le uova in luoghi tranquilli lungo le sponde.
L'Italia ne alberga diverse specie, la più stimata
delle quali, come cibo, è l’Acipenser sturio (storione comune); lo si
riconosce pel muso acuto, pel labbro inferiore carnoso e nel mezzo diviso, non
che pei cirri nasali semplici e tutti eguali tra loro. Frequenta a preferenza
le foci del Ticino e del Po ove, non è gran tempo, ne fu pescato uno che pesava
Kg. 215; ma la specie che prende maggior sviluppo è l’Acipenser huso, il
quale raggiunge fino a due metri e più di lunghezza, con ovaia grandi un terzo
dell'animale, ed è questa particolarmente che somministra il caviale e
l'ittiocolla. Il primo è formato dalle uova crude degli storioni, passate per
setaccio onde levarne i filamenti che le inviluppano, indi salate e fortemente
compresse; la seconda preparasi sulle spiagge del mar Caspio o sulle coste dei
fiumi che vi sboccano, ma più che altrove ad Astrachan. Non farà meraviglia la
quantità straordinaria che se ne trova in commercio (servendo l'ittiocolla a molti
usi) se si considera che talvolta nel Volga si pescano da quindici a ventimila
storioni al giorno; e di là, cioè dalle provincie meridionali della Russia, ci
viene anche il caviale. Fu annunziato che dei pescatori dei Danubio presero,
non ha guari, uno storione del peso di otto quintali e che la spoglia di questo
enorme pesce, lungo metri 3,30, figura nel Museo di Vienna.
Fra le specie estinte si annovera il Magadictis, che
raggiungeva la lunghezza di 10 a 12 metri.
480. STORIONE IN FRICANDÒ
Lo storione è buono in tutte le maniere: lesso, in
umido, in gratella. Quanto all'umido, potete trattarlo nel seguente modo:
prendetene un pezzo grosso del peso almeno di grammi 500, spellatelo e
steccatelo con lardelli di lardone conditi avanti con sale e pepe; poi legatelo
in croce, infarinatelo, mettetelo al fuoco con olio e burro e conditelo ancora
con sale e pepe. Quando sarà rosolato da tutte le parti bagnatelo con brodo per
tirarlo a cottura e prima di levarlo strizzategli sopra un limone per mandarlo
in tavola col suo sugo.
481. ACCIUGHE ALLA MARINARA
Questo piccolo pesce dalla pelle turchiniccia e quasi
argentata, conosciuto sulle spiagge dell'Adriatico col nome di sardone, differisce
dalla sarda o sardella in quanto che questa è stiacciata, mentre l'acciuga è
rotonda e di sapor più gentile. Ambedue le specie appartengono alla stessa
famiglia, e quando son fresche, ordinariamente si mangiano fritte. Le acciughe
però sono più appetitose in umido con un battutino d'aglio, prezzemolo, sale,
pepe e olio; quando son quasi cotte si aggiunge un po' d'acqua mista ad aceto.
Già saprete che i pesci turchini sono i meno
digeribili fra le specie vertebrate.
482. ACCIUGHE FRITTE
Se volete dare più bell'aspetto alle acciughe e alle
sardine fritte, dopo aver levata loro la testa e averle infarinate, prendetele
a una a una per la coda, immergetele nell'uovo sbattuto e ben salato, poi di
nuovo nella farina, e buttatele in padella nell'olio a bollore. Meglio ancora
se, essendo grosse, le aprite per la schiena incidendole con un coltello di
taglio fine e levate loro la spina, lasciandole unite per la coda.
483. SARDE RIPIENE
Per questo piatto ci vogliono sarde delle più grosse.
Prendetene da 20 a 24 che tante bastano per la
quantità del ripieno qui sotto descritto. Le sarde lavatele, togliete loro la
testa, e con le dita sparatele dalla parte del buzzo per estrarne la spina.
Formate un composto con:
Midolla di pane, gr. 30;
acciughe salate, n. 3;
un rosso d'uovo;
mezzo spicchio d'aglio;
un pizzico di regamo.
La midolla di pane inzuppatela nel latte e poi
strizzatela. Le acciughe nettatele dalle scaglie e dalla spina, e poi tritate e
mescolate ogni cosa insieme servendovi per ultimo della lama di un coltello per
ridurre il composto ben fine. Spalmate con esso le sarde e richiudetele; indi
tuffatele ad una ad una nella chiara d'uovo rimasta, dopo averla sbattuta,
avvolgetele nel pangrattato, friggetele nell'olio, salatele alquanto e
servitele con spicchi di limone.
484. BROCCIOLI FRITTI
Se vi trovate sulla montagna pistoiese in cerca di
clima fresco, di aria pura e di paesaggi incantevoli, chiedete i broccioli, un
pesce d'acqua dolce, dalla forma del ghiozzo di mare e di sapore delicato quanto
ed anche più della trota. Una signora di mia conoscenza, dopo una lunga
passeggiata per quelle montagne, trovava tanto buone le polpette del prete di
Piansinatico che le divorava.
485. TOTANI IN GRATELLA
I totani (Loligo) appartengono all'ordine de'
cefalopodi e sono conosciuti nel litorale adriatico col nome di calamaretti.
Siccome quel mare li produce piccoli, ma polputi e saporiti, cucinati
fritti, sono giudicati dai buongustai un piatto eccellente. Il Mediterraneo,
messe a confronto le stesse specie, dà pesce più grosso, ed ho visto de' totani
dell'apparente peso di grammi 200 a 300; ma non sono sì buoni come quelli
dell'Adriatico. Questi, anche tagliati a pezzi, riuscirebbero duri in frittura,
quindi meglio è cuocerli in gratella ripieni, oppure, se sono grossissimi, in
umido. Questo pesce racchiude nell'interno una lamina allungata flessibile, la penna,
ch'altro non è se non un rudimento di conchiglia che va tolto prima di
riempirlo.
Tagliate al totano i tentacoli, che sono le sue
braccia lasciandogli il sacco e la testa, e tritateli colla lunetta insieme con
prezzemolo e pochissimo aglio. Mescolate questo battutino con molto
pangrattato, conditelo con olio, pepe e sale, e servitevi di tal composto per
riempire il sacco del pesce; per chiudere la bocca del detto sacco infilzatela
con uno stecchino, che poi leverete. Conditelo con olio, pepe e sale e
cuocetelo, come si è detto, in gratella.
Se vi trovate a Napoli non mancate di fare una visita
all'Acquario nei giardini della Villa Nazionale ove, fra le tante meraviglie
zoologiche, osserverete con piacere questo cefalopodo di forme snelle ed
eleganti nuotare e guizzare con moltissima grazia ed ammirerete pur anche la
sveltezza e la destrezza che hanno le sogliole di scomparire a un tratto fra la
sabbia, di cui si ricoprono, per occultarsi forse al nemico che le insegue.
Tornando ai calamaretti, che è un pesce
alquanto indigesto, ma ottimo in tutte le stagioni dell'anno, dopo aver loro
levata la penna e strizzati gli occhi, lavateli, asciugateli, infarinateli e
friggeteli nell'olio: ma avvertite non vi passino di cottura, la qual cosa è
facile se non si sta molto attenti. Streminziscono allora e si rendono ancora
più indigesti. Conditeli caldi con sale e pepe.
486. CICALE RIPIENE
Non crediate che voglia parlarvi delle cicale che
cantano su per gli alberi; intendo dire invece di quel crostaceo, squilla (Squilla
mantis), tanto comune nell'Adriatico e colà cognito col nome di cannocchia.
È un crostaceo sempre gustoso a mangiarsi; ma migliore
assai quando in certi mesi dell'anno, dalla metà di febbraio all'aprile, è più
polputo del solito, e racchiude allora un cannello rosso lungo il dorso, detto
volgarmente cera o corallo, il quale non è altro che il
ricettacolo delle uova di quel pesce. È buono lesso, entra con vantaggio,
tagliato a pezzi, nella composizione di un buon cacciucco ed eccellente è in
gratella, condito con olio, pepe e sale; se lo aggradite anche più appetitoso,
sparatelo lungo il dorso, riempitelo con un battutino di pangrattato, prezzemolo
e odore d'aglio e condite tanto il ripieno che il pesce con olio, pepe e sale.
487. CICALE FRITTE
Alla loro stagione, cioè quando hanno la cera, com'è
detto al numero precedente, si possono friggere nel seguente modo e ne merita
il conto.
Dopo averle lavate, lessatele in poca acqua, coperte
da un pannolino con un peso sopra; 15 minuti di bollitura ritengo siano
sufficienti. Sbucciatele dopo cotte e, messa a nudo la polpa, tagliatela in due
pezzi, infarinatela, doratela nell'uovo frullato e salato, e friggetela
nell'olio.
488. CICALE IN UMIDO
Se non vi rincresce di adoperare le unghie,
d'insudiciarvi le dita e di bucarvi fors'anche le labbra, eccovi un gustoso e
piacevole trastullino.
Prima di cuocerle tenete le cicale nell'acqua fresca, che
così non iscolano, anzi rigonfiano. Fate un battuto con aglio, prezzemolo e
olio; rosolato che sia collocateci le cicale intere e conditele con sale e
pepe. Quando avranno preso il condimento bagnatele con sugo di pomodoro o
conserva e servitele sopra a fette di pane asciugate al fuoco. Prima di
mandarle in tavola fate loro un'incisione con le forbici lungo il dorso per
poterle sbucciare più facilmente.
489. SPARNOCCHIE
Le cicale mi rammentano le sparnocchie che, a prima
vista, le rassomigliano; ma esaminato bene questo crostaceo ha la forma di un
grosso gambero di mare del peso comunemente di 50 o 60 grammi. È di sapore più
delicato dell'arigusta e, come questa, si usa mangiarlo lesso; ma perché non
perda sapore meglio è di arrostirlo in gratella, senza condimento alcuno, e
dopo sgusciarlo e condirlo con olio, pepe, sale ed agro di limone. Le
sparnocchie piccole si possono anche, come i gamberi, infarinare e friggerle
così naturali, oppure nel modo indicato per le cicale.
490. ANGUILLA
L’Anguilla vulgaris è un pesce dei più
singolari. Benché il valligiano di Comacchio pretenda di conoscere, da certi
caratteri esterni, il maschio e la femmina non si è riusciti ancora per quanto
lo si sia studiato, a distinguerne il sesso, forse perché la borsa spermatica
del maschio è simile all'ovario della femmina.
L'anguilla comune abita le acque dolci; ma per
generare ha bisogno di scendere in mare. Questa discesa, che chiamasi la calata,
ha luogo nelle notti oscure e principalmente nelle burrascose dei mesi di
ottobre, novembre e dicembre, e n'è allora più facile ed abbondante la pesca.
Le anguille neonate lasciano il mare ed entrano nelle paludi o nei fiumi verso
la fine di gennaio e in febbraio, e in questo ingresso, che dicesi la montata,
vengono pescate alla foce de' fiumi in gran quantità col nome di cieche e
la piscicoltura se ne giova per ripopolare con esse gli stagni ed i laghi, nei
quali, se manca la comunicazione con le acque salse del mare, non si possono
riprodurre.
Recenti studi nello stretto di Messina hanno rilevato
che questo pesce, e i murenoidi congeneri, hanno bisogno di deporre le uova
negli abissi del mare a una profondità non minore di 500 metri, e che, a
similitudine delle rane, subiscono una metamorfosi. Il Leptocephalus
brevirostris che ha l'aspetto di una foglia di oleandro, trasparente come
il vetro, ritenuto finora una specie a sé, non è che il primo periodo di vita,
la larva di questo essere, che poi si trasforma in anguilla capillare, le così
dette cieche le quali quando rimontano i fiumi in cerca delle
acque dolci, non sono lunghe mai meno di cinquanta millimetri. Delle vecchie
anguille poi, che sono scese al mare, non si sa che ne avvenga; forse restando
nella profonda oscurità degli abissi marini, muoiono sotto a quella enorme
pressione, o si modificano per adattarsi all'ambiente in cui si trovano.
Un'altra singolarità dei murenoidi in genere è quella
del loro sangue, che iniettato nel torrente della circolazione dell'uomo è
velenoso e mortale, mentre cotto e mangiato è innocuo.
L'anguilla, per la conformazione speciale delle sue
branchie, a semplice fessura, per la sua forma cilindrica e per le squamme
assai minute e delicate può vivere molto tempo fuori dell'acqua: ma ogni
qualvolta si sono incontrate a strisciar sulla terra, il che avviene
specialmente di notte, si sono viste proceder sempre nella direzione di un
corso d'acqua, per tramutarsi forse da un luogo ad un altro, o per cercare, nei
prati circostanti alla loro dimora, il cibo che consta di piccoli animali.
Sono celebri le anguille delle valli di Comacchio,
paese della bassa Romagna, il quale si può dire viva della pesca di questo
pesce che, fresco o marinato, si spaccia non solo in Italia, ma si spedisce
anche fuori. È così produttivo quel luogo che in una sola notte buia e
burrascosa dell'ottobre 1905 furono pescati chilogrammi 150.000 di anguille, e
più meraviglioso ancora è il risultato finale della pesca di quell'annata che
troverete descritto alla ricetta n. 688.
In alcuni luoghi d'Italia chiamassi capitoni
quando son grosse, e bisatti quando son piccole ed abitano tutti i fiumi
di Europa meno quelli che si versano nel Mar Nero, non eccettuato il Danubio e
i suoi affluenti.
La sola differenza di forma tra l'anguilla d'acqua
dolce e quella di mare, conosciuta col nome di conger o congro, è che la
prima ha la mascella superiore più breve dell'inferiore e l'individuo prende
meno sviluppo, imperocché trovansi dei conger fin di tre metri di
lunghezza. Forse, da questo grosso pesce serpentiniforme, è derivata la favola
del serpente di mare, sostenuta un tempo anche da persone degne di fede che ne
esageravano la grandezza, probabilmente per effetto di allucinazione.
491. ANGUILLA ARROSTO
Potendo, preferite sempre le anguille di Comacchio che
sono le migliori d'Italia se non le superano quelle del lago di Bolsena
rammentate da Dante.
Quando l'anguilla è grossa e si voglia cuocere allo
spiedo è meglio spellarla. Tagliatela a rocchi lunghi tre centimetri ed
infilateli tra due crostini con qualche foglia di salvia oppure di alloro se
non temete che questo, pel suo odore troppo acuto, vi torni a gola. Cuocetela
in bianco a fuoco moderato e per ultimo datele una bella fiammata per farle
fare la crosticina croccante. Per condimento sale soltanto e spicchi di limone
quando si manda in tavola.
L'anguilla mezzana, a parer mio, riesce più gustosa
cotta in gratella con la sua pelle, la quale, rammollita con agro di limone
quando è portata in tavola, può offrire, succhiandola, un sapore non sgradito.
Per condimento sale e pepe soltanto. I Comacchiesi, per la gratella adoperano
anguille mezzane, le spellano se sono un po' grosse, le ripuliscono soltanto se
sottili, le inchiodano con la testa sopra un'asse, le sparano con un coltello
tagliente, levano la spina e così aperte con le due mezze teste, le mettono in
gratella, condite solo di sale e pepe a mezza cottura. Le mangiano bollenti.
L'anguilla richiede nel pasteggiare vino rosso ed
asciutto.
492. ANGUILLE ALLA FIORENTINA
Prendete anguille di mezzana grandezza, sbuzzatele e spellatele
praticando una incisione circolare sotto alla testa, che terrete ferma con un
canovaccio onde non isgusci per l'abbondante mucosità di questo pesce, e tirate
giù la pelle che verrà via tutta intera. Allora tagliatela a pezzi lunghi un
dito o poco meno, che condirete con olio, sale e pepe, lasciandoli stare per
un'ora o due.
Per cuocerle servitevi di una teglia o di un tegame di
ferro, copritene il fondo con un velo d'olio, due spicchi d'aglio interi e
foglie di salvia; fate soffriggere per un poco e, presi i pezzi dell'anguilla
uno alla volta, involgeteli nel pangrattato e disponeteli nel tegame uno
accanto all'altro versando lor sopra il resto del condimento. Cuoceteli fra due
fuochi e quando avranno preso colore, versate nel tegame un gocciolo d'acqua.
La carne di questo pesce, assai delicato e gustoso,
riesce alquanto indigesta per la sua soverchia oleosità.
493. ANGUILLA IN UMIDO
Meglio è che per questo piatto le anguille sieno
grosse anzi che no, e, senza spellarle, tagliatele a pezzetti corti. Tritate un
battuto piuttosto generoso di cipolla e prezzemolo, mettetelo al fuoco con poco
olio, pepe e sale e quando la cipolla avrà preso colore gettateci l'anguilla.
Aspettate che abbia succhiato il sapore del soffritto per tirarla a cottura con
sugo di pomodoro o conserva sciolta nell'acqua. Procurate che vi rimanga
dell'intinto in abbondanza se volete servirla in tavola sopra a crostini di
pane arrostito appena. Sentirete un manicaretto delicato, ma non confacente a
tutti gli stomachi.
494. ANGUILLA COL VINO
Prendete un'anguilla di circa mezzo chilogrammo, o più
d'una, dello stesso peso in complesso, non essendo necessario per questo piatto
che sieno grosse; strofinatele con la rena per nettarle dalla mucosità,
lavatele e tagliatele a rocchi. Ponete in un tegame uno spicchio d'aglio
tagliato a fettine, tre o quattro foglie di salvia tritata all'ingrosso, la
corteccia di un quarto di limone e non molto olio. Mettetelo al fuoco e, quando
il soffritto avrà preso colore, collocateci le anguille e conditele con sale e
pepe. Allorché l'umido comincia a scemare andate scalzandole con la punta di un
coltello onde non si attacchino e rosolate che sieno versateci sugo di pomodoro
o conserva, e rivoltatele. Rosolate anche dall'altra parte, versateci un buon dito
di vino rosso o bianco asciutto mischiato a due dita d'acqua, copritele e
lasciatele finir di cuocere a fuoco lento. Mandatele in tavola con alquanto del
loro intinto e servitele a quattro persone, a cui potranno bastare.
495. ANGUILLA IN UMIDO ALL’USO DI COMACCHIO
I Comacchiesi non fanno mai uso d'olio per condir
l'anguilla in qualunque modo essa venga cucinata, il che si vede anche da
questo umido che potrebbe pur chiamarsi zuppa o cacciucco di anguille. Infatti
codesto pesce contiene tanto olio in sé stesso che l'aggiungerne guasta anziché
giovare. La prova fattane avendo corrisposto alla ricetta favoritami, ve la
descrivo tal quale.
“Per un chilogrammo di anguille prendete tre cipolle,
un sedano, una bella carota, prezzemolo e la buccia di mezzo limone. Tagliate
tutto, meno il limone, a pezzi grossi e fate bollire con acqua, sale e pepe.
Tagliate le anguille a rocchi, lasciando però i rocchi uniti tra loro da un
lembo di carne. Prendete un pentolo adatto e fategli in fondo uno strato di
anguilla cui sopraporrete uno strato delle verdure dette di sopra e quasi cotte
(gettando via il limone), poi un altro strato d'anguilla, un altro di verdura,
ecc., fin che ce ne cape. Coprite tutto coll'acqua dove le verdure bollirono;
mettete il pentolo ben turato a bollire adagio, scuotendolo, girandolo, ma non
frugando mai col mestolo perché spappolereste ogni cosa. Noi usiamo circondare
il pentolo di cenere e brace fin più che a mezzo, davanti a un fuoco chiaro di
legna, sempre scuotendo e girando. Quando i rocchi, che erano uniti per un
lembo, si staccano l'un dall'altro, son presso che cotti. Aggiungete allora un
buon cucchiaio di aceto forte, conserva di pomodoro e assaggiate il brodo per
correggerlo di sale e di pepe (siate generosi); fate dare altri pochi bollori e
mandate magari il pentolo in tavola, perché è vivanda di confidenza. Servite in
piatti caldi, su fette di pane”. Avverto io che qui si tratta di anguille
mezzane e non ispellate, che le cipolle, se sono grosse, due bastano e che due
bicchieri d'acqua saranno sufficienti per cuocere le verdure. Le fette del pane
sarà bene di asciugarle al fuoco senza arrostirle.
496. ANGUILLA COI PISELLI
Mettetela in umido come quella del n. 493 e quando è
cotta levatela asciutta per cuocere i piselli nel suo intinto. Rimettetela poi
fra i medesimi per riscaldarla e servitela. Qui non ha luogo sugo di pomodoro,
ma acqua se occorre.
497. CEFALI IN GRATELLA
Le anguille di Comacchio richiamano alla memoria i cefali
abitatori delle stesse valli i quali, quando sono portati ai mercati verso la
fine di autunno, sono belli, grassi e di ottimo sapore. I Comacchiesi li
trattano nella seguente maniera che persuade. Levano a questo pesce le scaglie
e le branchie ma non li sbuzzano perché le interiora, come nella beccaccia,
dicono che sono il meglio. Li condiscono con sale e pepe soltanto, e li pongono
sulla gratella a fuoco ardente. Cotti che siano li mettono tra due piatti caldi
non lontani dal fuoco per cinque minuti. Al momento di servirli rivolgono i
piatti, che quel di sopra vada sotto e il grasso colato rimanga così sparso e
steso sopra il pesce, mandandolo in tavola con limone da strizzare.
Al n. 688 è dato un cenno come li servono in Romagna.
498. TELLINE O ARSELLE IN SALSA D’UOVO
Le arselle non racchiudono sabbia come le telline e
però a quelle basta una buona lavatura nell'acqua fresca.
Tanto le une che le altre mettetele al fuoco con un
soffritto di aglio, olio, prezzemolo e una presa di pepe, scuotetele e tenete
coperto il vaso onde non si prosciughino. Levatele quando saranno aperte ed
aggraziatele con la seguente salsa: uno o più rossi d'uovo, secondo la
quantità, agro di limone, un cucchiaino di farina, brodo e un po' di quel sugo
uscito dalle telline. Cuocetela ad uso crema e versatela sulle medesime quando
le mandate in tavola.
Io le preferisco senza salsa e le fo versare sopra
fette di pane asciugate al fuoco. Così si sente più naturale il gusto del
frutto di mare. Per la stessa ragione non lo mettere il pomodoro nel risotto
con le telline.
499. ARSELLE O TELLINE ALLA LIVORNESE
Fate un battutino di cipolla e mettetelo al fuoco con
olio e una presa di pepe. Quando la cipolla avrà preso colore unite un pizzico
di prezzemolo tritato non tanto fine e dopo poco gettateci le arselle o le
telline con sugo di pomodoro o conserva. Scuotetele spesso e quando saranno
aperte, versatele sopra a fette di pane arrostito, preparate avanti sopra un
vassoio. Le arselle così cucinate sono buone; ma, a gusto mio, sono inferiori a
quelle del numero precedente.
500. SEPPIE COI PISELLI
Fate un battuto piuttosto generoso con cipolla, uno
spicchio d'aglio e prezzemolo. Mettetelo al fuoco con olio, sale e pepe, e
quando avrà preso colore passatelo da un colino strizzando bene. In questo
soffritto gettate le seppie tagliate a filetti, ma prima nettatele com'è
indicato al n. 74, bagnatele con acqua, se occorre, e quando saranno quasi
cotte versate i piselli grondanti dall'acqua fresca in cui li avrete tenuti in
molle.
501. TINCHE ALLA SAUTÉ
Questo pesce (Tinca vulgaris) della famiglia
dei ciprinoidi, ossia dei carpi, benché si trovi anche ne' laghi e ne' fiumi
profondi, abita di preferenza, come ognuno sa, le acque stagnanti dei paduli;
ma ciò che ignorasi forse da molti si è che esso, nonché il carpio, offrono un
esempio della ruminazione fra i pesci. Il cibo arrivato nel ventricolo è
rimandato nella faringe coi movimenti antiperistaltici e dai denti faringei,
speciali a quest'uso, ulteriormente sminuzzato e triturato.
Prendete tinche grosse (nel mercato di Firenze
vendonsi vive e sono, nella loro inferiorità fra i pesci, delle migliori),
tagliate loro le pinne, la testa e la coda; apritele per la schiena, levatene
la spina e le lische e dividetele in due parti per il lungo. Infarinatele, poi
tuffatele nell'uovo frullato, che avrete prima condito con sale e pepe;
involgetele nel pangrattato, ripetendo per due volte quest'ultima operazione.
Cuocetele nella sauté col burro e servitele in tavola con spicchi di
limone e con un contorno di funghi fritti, alla loro stagione.
Qui viene opportuno indicare il modo di togliere o
attenuare il lezzo dei pesci di padule. Si gettano nell'acqua bollente,
tenendoveli alcuni minuti finché la pelle comincia a screpolare, e si
rinfrescano poi nell'acqua diaccia prima di cuocerli. Questa operazione è
chiamata dai francesi limoner, da limon, fango.
502. PASTICCIO DI MAGRO
Mancherei a un dovere di riconoscenza se non
dichiarassi che parecchie ricette del presente volume le devo alla cortesia di
alcune signore che mi favorirono anche questa, la quale, benché in apparenza
accenni ad un vero e proprio pasticcio, alla prova è riuscita degna di
figurare in qualunque pranzo, se eseguita a dovere.
Un pesce del peso di grammi 300 a 350.
Riso, grammi 200.
Funghi freschi, grammi 150.
Piselli verdi, grammi 300.
Pinoli tostati, grammi 50.
Burro, quanto basta.
Parmigiano, idem.
Carciofi, n. 6.
Uova, n. 2.
Cuocete il riso con grammi 40 di burro e un quarto di
cipolla tritata, salatelo, e quando è cotto con l'acqua occorrente legatelo con
le dette uova e grammi 30 di parmigiano.
Fate un soffritto con cipolla, burro, sedano, carota e
prezzemolo e in esso cuocete i funghi tagliati a fette, i piselli, e i carciofi
tagliati a spicchi e mezzo lessati. Tirate queste cose a cottura con qualche
cucchiaiata d'acqua calda e conditele con sale, pepe e gr, 50 di parmigiano
grattato quando le avrete ritirate dal fuoco.
Cuocete il pesce, che può essere un muggine, un ragno
o anche pesce a taglio, in un soffritto d'olio, aglio, prezzemolo, sugo di
pomodoro o conserva e conditelo con sale e pepe. Levate il pesce, passate il
suo intinto e in questo sciogliete i pinoli che prima avrete abbrustoliti e
pestati. Togliete al pesce la testa, la spina e le lische, tagliatelo a pezzetti,
rimettetelo nel suo intinto e uniteci ogni cosa meno che il riso.
Ora che gli elementi del pasticcio sono tutti pronti,
fate la pasta per rinchiudervelo, di cui eccovi le dosi:
Farina, grammi 400.
Burro, grammi 80
Uova, n. 2.
Vino bianco o marsala, due cucchiaiate
Sale, un pizzico.
Prendete uno stampo qualunque, ungetelo col burro e
foderatelo colla detta pasta tirata a sfoglia; poi riempitelo versandovi prima
la metà del riso, indi tutto il ripieno e sopra il ripieno il resto del riso, ricoprendolo
alla bocca colla stessa pasta. Cuocetelo al forno, sformatelo e servitelo
tiepido o freddo.
Eseguito nelle dosi indicate basterà per dodici
persone.
503. RANOCCHI IN UMIDO
Il modo più semplice è di farli con un soffritto di
olio, aglio e prezzemolo, sale e pepe, e quando sono cotti, agro di limone.
Alcuni, invece del limone, usano il sugo di pomodoro, ma il primo è da
preferirsi.
Non li spogliate mai delle uova che sono il meglio.
504. RANOCCHI ALLA FIORENTINA
Togliete i ranocchi dall'acqua fresca dove li avrete
posti dopo averli tenuti per un momento appena nell'acqua calda se sono stati
uccisi d'allora. Asciugateli bene fra le pieghe d'un canovaccio e infarinateli.
Ponete una teglia al fuoco con olio buono e quando questo comincia a grillettare
buttate giù i ranocchi; conditeli con sale e pepe rimuovendoli spesso perché si
attaccano facilmente. Quando saranno rosolati da ambedue le parti, versate sui
medesimi delle uova frullate, condite anch'esse con sale e pepe e sugo di
limone piacendovi; senza toccarle, lasciatele assodare a guisa di frittata e
mandate la teglia in tavola.
Ai ranocchi va sempre tolta la vescichetta del fiele.
Volendoli fritti, infarinateli e, prima di buttarli in
padella, teneteli per qualche ora in infusione nell'uovo, condito con sale e
pepe; oppure, dopo infarinati, rosolateli appena da ambedue le parti e, presi
uno alla volta, immergeteli nell'uovo condito con pepe, sale e agro di limone,
rimettendoli poscia in padella per finire di cuocerli.
505. ARINGA INGENTILITA
Signori bevitori, a questa aringa (Clupea harengus)
posate la forchetta; non è fatta per voi che avete il gusto grossolano.
Ordinariamente si ricerca l'aringa femmina come più
appariscente per la copiosa quantità delle uova; ma è da preferirsi il maschio
che, co' suoi spermatofori lattiginosi, ossia borsa spermatica, è più delicato.
Maschio o femmina che sia, aprite l'aringa dalla parte della schiena, gettatene
via la testa e spianatela; poi mettetela in infusione nel latte bollente e
lasciatevela dalle otto alle dieci ore. Sarebbe bene che in questo spazio di
tempo si cambiasse il latte una volta. Dopo averla asciugata con un canovaccio,
cuocetela in gratella come l'aringa comune e conditela con olio e pochissimo
aceto o, se più vi piace, con olio e agro di limone.
C'è anche quest'altra maniera per togliere all'aringa
il sapore troppo salato. Mettetela al fuoco con acqua diaccia, fatela bollire
per tre minuti, poi tenetela per un momento nell'acqua fresca; asciugatela,
gettatene via la testa, apritela dalla parte della schiena e conditela come la
precedente.
La Clupea harengus è il genere tipico
dell'importantissima famiglia dei Clupeini, la quale comprende, oltre alle
aringhe, le salacche, i salacchini, le acciughe, le sarde e l’Alosa
vulgaris, o Clupea comune, chiamata cheppia in Toscana. Questa, in
primavera, rimontando i fiumi per deporre le uova, viene pescata anche in Arno
a Firenze.
Le aringhe vivono in numero sterminato nelle
profondità dei mari dell'estrema Europa e si fanno vedere alla superficie solo
al tempo della riproduzione, cioè nei mesi di aprile, maggio e giugno, e dopo
deposte le uova scompariscono nella profondità della loro abituale dimora. Si
vede il mare talora per diverse miglia di seguito luccicante e l'acqua divenir
torbida per la fregola e per le squame che si distaccano. In Inghilterra
arrivano dal luglio al settembre e la pesca, che si fa con reti circolari, n'è
sì abbondante sulle spiagge di Yarmouth che talvolta se ne sono preparate fino
a 500 mila barili.
506. BACCALÀ ALLA FIORENTINA
Il baccalà appartiene alla famiglia delle Gadidee il
cui tipo è il merluzzo. Le specie più comuni de' nostri mari sono il Gadus
minutus e il Merlucius esculentus, o nasello, pesce alquanto
insipido, ma di facile digestione per la leggerezza delle sue carni, e indicato
ai convalescenti, specialmente se lesso e condito con olio e agro di limone.
Il genere Gadus morrhua è il merluzzo delle
regioni artiche ed antartiche il quale, dalla diversa maniera di acconciarlo,
prende il nome di baccalà o stoccafisso e, come ognun sa, è dal fegato di
questo pesce che si estrae l'olio usato in medicina. La pesca del medesimo si
fa all'amo e un solo uomo ne prende in un giorno fino a 500, ed è forse il più
fecondo tra i pesci, essendosi in un solo individuo contate nove milioni di
uova.
In commercio si conoscono più comunemente due qualità
di baccalari, Gaspy e Labrador. La prima proveniente dalla
Gaspesia, ossia dai Banchi di Terra Nuova (ove sì pescano ogni anno più di 100
milioni di chilogrammi di merluzzi), è secca, tigliosa e regge molto alla
macerazione; la seconda, che si pesca sulle coste del Labrador, forse a motivo
di un pascolo più copioso, essendo grassa e tenera, rammollisce con facilità ed
è assai migliore al gusto.
Il baccalà di Firenze gode buona reputazione e si può
dir meritata perché si sa macerar bene, nettandolo spesso con un granatino di
scopa, e perché essendo Labrador di prima qualità, quello che preferibilmente
vi si consuma, grasso di sua natura, è anche tenero, tenuto conto della fibra
tigliosa di questo pesce non confacente agli stomachi deboli; per ciò io non
l'ho potuto mai digerire. Questo salume supplisce su quel mercato, nei giorni
magri, con molto vantaggio il pesce, che è insufficiente al consumo, caro di
prezzo e spesso non fresco.
Tagliate il baccalà a pezzi larghi quanto la palma
della mano e infarinatelo bene. Poi mettete un tegame o una teglia al fuoco con
parecchio olio e due o tre spicchi d'aglio interi, ma un po' stiacciati. Quando
questi cominciano a prender colore buttate giù il baccalà e fatelo rosolare da
ambedue le parti, rimuovendolo spesso affinché non si attacchi. Sale non
ne occorre o almeno ben poco previo l'assaggio, ma una presa di pepe non ci fa
male. Per ultimo versategli sopra qualche cucchiaiata di sugo di pomodoro n. 6,
o conserva diluita nell'acqua; fatelo bollire ancora un poco e servitelo.
507. BACCALÀ ALLA BOLOGNESE
Tagliatelo a pezzi grossi come il precedente e così
nudo e crudo mettetelo in un tegame o in una teglia unta coll'olio. Fioritelo
di sopra con un battutino di aglio e prezzemolo e conditelo con qualche presa
di pepe, olio e pezzetti di burro. Fatelo cuocere a fuoco ardente e voltatelo
adagio perché, non essendo stato infarinato, facilmente si rompe. Quando è
cotto strizzategli sopra del limone e mandatelo al suo destino.
508. BACCALÀ DOLCE-FORTE
Cuocetelo come il baccalà n. 506, meno l'aglio, e
quando sarà rosolato da ambe le parti, versateci su il dolce-forte, fatelo
bollire ancora un poco e servitelo caldo.
Il dolce-forte o l'agro-dolce, se così vi piace
chiamarlo, preparatelo avanti in un bicchiere, e se il baccalà fosse grammi 500
all'incirca, basteranno un dito di aceto forte, due dita di acqua, zucchero a
sufficienza, pinoli e uva passolina in proporzione. Prima di versarlo
sul baccalà non è male il farlo alquanto bollire a parte. Se vi vien bene
sentirete che nel suo genere sarà gradito.
509. BACCALÀ IN GRATELLA
Onde riesca meno risecchito si può cuocere a fuoco
lento sopra un foglio di carta bianca, consistente, unta avanti. Conditelo con
olio, pepe e, se vi piace, qualche ciocchettina di ramerino.
510. BACCALÀ FRITTO
La padella è l'arnese che in cucina si presta a molte
belle cose; ma il baccalà a me pare vi trovi la fine più deplorevole perché, dovendo
prima esser lessato e involtato in una pastella, non vi è condimento che basti
a dargli conveniente sapore, e però alcuni, non sapendo forse come meglio
trattarlo, lo intrugliano nella maniera che sto per dire. Per lessarlo
mettetelo al fuoco in acqua diaccia e appena abbia alzato il primo bollore
levatelo che già è cotto. Senz'altra manipolazione si può mangiar così condito
con olio e aceto; ma veniamo ora all'intruglio che vi ho menzionato,
padronissimi poi di provarlo o di mandare al diavolo la ricetta e chi l'ha
scritta. Dopo lessato mettete in infusione il pezzo del baccalà tutto intero
nel vino rosso e tenetecelo per qualche ora; poi asciugatelo in un canovaccio e
tagliatelo a pezzetti nettandolo dalle spine e dalle lische. Infarinatelo leggermente
e gettatelo in una pastella semplice di acqua, farina e un gocciolo d'olio
senza salarla. Friggetelo nell'olio e spolverizzatelo di zucchero quando avrà
perduto il primo bollore. Mangiato caldo, l'odor del vino si avverte appena;
non pertanto, se lo trovate un piatto ordinario, la colpa sarà vostra che
l'avete voluto provare.
511. COTOLETTE DI BACCALÀ
Si tratta sempre di baccalà, quindi non vi aspettate
gran belle cose; però, preparato in questa maniera sarà meno disprezzabile del
precedente; non foss'altro vi lusingherà la vista col suo aspetto giallo-dorato
a somiglianza delle cotolette di vitella di latte.
Cuocetelo lesso come l'antecedente e, se la quantità
fosse di grammi 500, dategli per compagnia due acciughe e un pizzico di
prezzemolo, tritando fine fine ogni cosa insieme colla lunetta. Poi
aggiungerete qualche presa di pepe, un pugno di parmigiano grattato, tre o
quattro cucchiaiate di pappa, composta di midolla di pane, acqua e burro, per
renderlo più tenero, e due uova. Formato così il composto, prendetelo su a
cucchiaiate, buttatelo nel pangrattato, stiacciatelo colle mani per dargli la
forma di cotolette che intingerete nell'uovo sbattuto, e poi un'altra
volta avvolgerete nel pangrattato.
Friggetelo nell'olio e mandatelo in tavola con spicchi
di limone o salsa di pomodoro. Basterà la metà di questa dose per nove o dieci cotolette.
512. BACCALÀ IN SALSA BIANCA
Baccalà ammollito, grammi 400.
Burro, grammi 70.
Farina, grammi 30.
Una patata del peso di circa grammi 150.
Latte, decilitri 3 ½.
Lessate il baccalà e nettatelo dalla pelle, dalle
lische e dalla spina. Lessate anche la patata e tagliatela a tocchetti. Fate
una balsamella col latte e la farina e quando è cotta uniteci un poco di
prezzemolo tritato, datele l'odore della noce moscata, versateci dentro la
patata e salatela. Poi aggiungete il baccalà a pezzi, mescolate e dopo un poco
di riposo servitelo che piacerà e sarà lodato. Se non si tratta di forti
mangiatori potrà bastare per quattro persone. Per adornarlo un poco potreste
contornarlo con degli spicchi di uova sode.
513. STOCCAFISSO IN UMIDO
Stoccafisso ammollito, grammi 500 così diviso:
Schiena, grammi 300; pancette, grammi 200.
Levategli la pelle e tutte le lische, poi tagliate la
parte della schiena a fettine sottili e le pancette a quadretti larghi due
dita. Fate un soffritto con olio in abbondanza, un grosso spicchio d'aglio o
due piccoli e un buon pizzico di prezzemolo. Quando sarà colorito gettateci lo
stoccafisso, conditelo con sale e pepe, rimestate per fargli prendere sapore e
dopo poco versateci sei o sette cucchiaiate della salsa di pomodoro del n. 125,
oppure pomodori a pezzi senza la buccia e i semi, fate bollire adagio per tre
ore almeno, bagnandolo con acqua calda versata poco per volta ed unendovi dopo
due ore di bollitura una patata tagliata a tocchetti. Questa quantità è
sufficiente per tre o quattro persone. È piatto appetitoso, ma non per gli
stomachi deboli. Un amico mio, certo di fare cosa gradita, non si perita
d'invitare dei gran signori a mangiare questo piatto da colazione.
514. CIECHE ALLA PISANA
Vedi Anguilla n. 490.
Lavatele diverse volte e quando non faranno più la
schiuma, versatele sullo staccio per scolarle.
Ponete al fuoco, olio, uno spicchio o due d'aglio interi,
ma un po' stiacciati, e alcune foglie di salvia. Quando l'aglio sarà colorito
versate le cieche e, se sono ancor vive, copritele con un testo onde non
saltino via. Conditele con sale e pepe, rimuovetele spesso col mestolo e
bagnatele con un poco d'acqua, se prosciugassero troppo. Cotte che siano,
legatele con uova frullate a parte, mescolate con parmigiano, pangrattato e
limone.
Se la quantità delle cieche fosse di grammi 300 a 350,
la quale basta per quattro persone, potrete legarle con:
Uova, n. 2.
Parmigiano, due cucchiaiate.
Pangrattato, una cucchiaiata.
Mezzo limone e un po' d'acqua.
Se le servite nel vaso ove sono state cotte, ponetele
per ultimo fra due fuochi onde facciano alla superficie la crosticina in
bianco.
Il chiarissimo prof. Renato Fucini (l'ameno Neri
Tanfucio) il quale, a quanto pare, è un grande amatore di cieche alla
salvia, si compiace farmi sapere che sarebbe una profanazione, un sacrilegio,
se queste - benché sembrino teneri pesciolini - si tenessero a cuocere per un
tempo minore di una ventina di minuti almeno.
515. CIECHE FRITTE I
Cuocetele in umido con olio, aglio intero e salvia,
come quelle descritte al numero precedente; poi, levato l'aglio, tritatele
minute. Frullate delle uova in proporzione, salatele, aggiungete parmigiano, un
poco di pangrattato e mescolateci dentro le cieche per friggerle a cucchiaiate
e farne frittelle che servirete con limone a spicchi, e pochi, mangiandole, si
accorgeranno che sia un piatto di pesce.
516. CIECHE FRITTE II
Ho visto a Viareggio che le cieche si possono friggere
come l'altro pesce; infarinate soltanto con farina di grano o di granturco e
gettate in padella. In questa maniera le avrete più semplici, ma assai meno
buone di quelle descritte al numero antecedente.
517. TINCHE IN ZIMINO
La tinca disse al luccio: - Vai più la mia testa che
il tuo buccio. - Buccio per busto, licenza poetica, per far la
rima. Poi c'è il proverbio: “Tinca di maggio e luccio di settembre”.
Fate un battutino con tutti gli odori, e cioè: cipolla,
aglio, prezzemolo, sedano e carota; mettetelo al fuoco con olio e quando avrà
preso colore, versate le teste delle tinche a pezzettini e conditele con
sale e pepe. Fatele cuocer bene, bagnandole con sugo di pomodoro o conserva
sciolta nell'acqua, poi passate il sugo e mettetelo da parte. Nettate le
tinche, tagliate loro le pinne e la coda e così intere, ponetele al fuoco con
olio quando comincia a soffriggere. Conditele con sale e pepe e tiratele a
cottura col detto sugo versato a poco per volta. Potrete mangiarle così
che sono eccellenti; ma per dare al zimino il suo vero carattere ci vuole un
contorno d'erbaggi, bietola o spinaci a cui, dopo lessati, farete prender
sapore nell'intinto di questo umido. I piselli pure vi stanno bene. Anche il
baccalà in zimino va cucinato così.
518. LUCCIO IN UMIDO
Il luccio è un pesce comune nelle nostre acque dolci
che si fa notare per certe sue particolarità. È molto vorace e siccome si nutre
esclusivamente di pesce, la sua carne riesce assai delicata al gusto; però,
essendo fornito di molte lische, bisogna scegliere sempre individui del peso di
600 a 700 grammi; sono anche da preferirsi quelli che vivono in acque correnti,
i quali si distinguono per la schiena verdastra e il ventre bianco argentato;
mentre quelli delle acque stagnanti si conoscono dall’oscurità della pelle. Si
trovano dei lucci del peso fino a 10, 15 e anche 30 chilogrammi e di un'età
assai elevata; credesi perfino di oltre 200 anni. Le uova della femmina e gli
spermatofori lattiginosi del maschio non vanno mangiati perché hanno un'azione
molto purgativa.
Ammesso che abbiate da cucinare un luccio
dell'indicato peso all'incirca, raschiategli le scaglie, vuotatelo, tagliate
via la testa e la coda e dividetelo in quattro o cinque pezzi, che potranno bastare
ad altrettante persone. Ogni pezzo steccatelo per il lungo con due lardelli di
lardone conditi con sale e pepe, e poi fate un battuto proporzionato con
cipolla quanto una grossa noce, un piccolo spicchio d'aglio, una costola di
sedano, un pezzetto di carota e un pizzico di prezzemolo, il tutto tritato fine
perché non occorre passarlo. Mettetelo al fuoco con olio e quando avrà preso
colore fermatelo con sugo di pomodoro o conserva sciolta nell'acqua, sale e
pepe per condimento. Poi condensate alquanto questo intinto con un pezzetto di
burro intriso nella farina, mescolate bene e collocateci il pesce facendolo
bollire adagio e rivoltandolo; per ultimo versateci una cucchiaiata di marsala
o, mancando questa, un gocciolo di vino, e lasciatelo bollire ancora un poco
prima di mandarlo in tavola in mezzo alla sua salsa.
519. PALOMBO FRITTO
Tagliate il palombo in rotelle non tanto grosse e
lasciatele in infusione nell'uovo alquanto salato per qualche ora. Mezz'ora
avanti di friggerle involtatele in un miscuglio formato di pangrattato,
parmigiano, aglio e prezzemolo tritati, sale e pepe. Un piccolo spicchio
d'aglio basterà per grammi 500 di pesce. Contornatelo con spicchi di limone.
520. PALOMBO IN UMIDO
Tagliatelo a pezzi piuttosto grossi e poi fate un battuto
con aglio, prezzemolo e pochissima cipolla. Mettetelo al fuoco con olio e,
quando avrà soffritto a sufficienza, collocateci il palombo e conditelo con
sale e pepe. Rosolato che sia versateci un po' di vino rosso, o bianco
asciutto, e sugo di pomodoro o conserva per tirarlo a cottura.